Stretta tra mare e montagne, la Liguria riesce a contenere un’incredibile varietà di ambienti: macchia mediterranea, ulivi, viti, agrumeti, lunghe spiagge e valli con antichi borghi arroccati.

Italo Calvino ne scrisse con queste parole: “Dietro la Liguria dei cartelloni pubblicitari, dietro la Riviera dei grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale, si estende, dimenticata e sconosciuta, la Liguria dei contadini”. Calvino – di origine sanremese – pensava certamente alla Riviera di Ponente: quella fascia di terra collinare che comprende il tratto di costa a Ovest della Liguria, dove vigneti e uliveti autoctoni sono coltivati su colline impervie che si affacciano a picco sul mare. Un lavoro difficile e duro, svolto quasi sempre a mano senza l’utilizzo di macchine o trattori.

Qui, nel 2015, nasce “Vite in Riviera. Una rete di 25 aziende vitivinicole e olivicole (tra queste, c’è una cooperativa con 200 conferitori), con l’obiettivo di valorizzare e promuovere i prodotti tipici del territorio del Ponente Ligure: oltre al pesto – bandiera della regione – focacce, paste fresche, pesce (lungo la costa), carni (avete mai assaggiato il celebre coniglio alla ligure?). Parliamo di 1.300.000 bottiglie per un totale di 150,50 ettari vitati (dato di luglio 2022) e un volume d’affari pari a 10 milioni di euro l’anno. I due terzi delle aziende di Vite in Riviera esporta all’estero, per una quota che oscilla tra il 10 e il 50%: i paesi di maggiore esportazione sono Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Irlanda, USA, Germania, Regno Unito, Svizzera e Giappone.

C’è l’azienda Foresti Wine che nasce nel 1979 e ha sede a Camporosso, primo paese della Val Nervia a cavallo tra il confine francese di Ventimiglia e la cittadina di Bordighera, assai curata e accogliente: il Rossese di Dolceacqua è stato il primo vino della Liguria a ottenere la Doc. Del proprio Rossese, Marco Foresti tiene a sottolineare la versatilità: “Servito più fresco va benissimo anche con i piatti di pesce della zona, dalle acciughe ripiene allo stoccafisso alle olive, e con creme e vellutate di legumi”. Ma i suoi 7 ettari – sparsi in luoghi diversi del territorio – producono anche un Vermentino, tipico vino di mare, sapido e godibile.

C’è Giulia Dell’Erba, laureata in Architettura del paesaggio, con l’aiuto di mamma Nanda e papà Rinaldo, è impegnata nello sviluppo di Azienda Agricola Dell’Erba, a Ortovero in Liguria: tre ettari con vigne dai 25 agli 80 anni. Una piccola azienda che promette bene! Il loro Vermentino “Soffio di Ponente” è proprio un soffio di vento iodato e salmastro, esile, sapido e allegro. Ci sono Franco e Alice Lombardi, padre e figlia, con la loro bella azienda che sorge a Terzorio, nella Riviera ligure di Ponente, in una terra tradizionalmente dedicata alla floricoltura. Siamo tra la Riviera dei fiori e il regno delle celebri olive taggiasche: da 25 anni la famiglia Lombardi lavora per restituire pregio alla bellezza del paesaggio e alla viticoltura locale che ha una lunga tradizione. 3,5 ettari che producono circa 30 mila bottiglie: l’80% sono vini bianchi. Le etichette sono disegnate ad acquerello dallo stesso Franco Lombardi.

 

ll Pigato è senza dubbio il pezzo forte della Riviera ligure di Ponente. Giallo paglierino, profumi di ginestra, pesca, erbe aromatiche, resina, un sorso acido e salino fondato su una buona struttura per un bell’equilibrio. Una bella batteria di approfondimento si trova all’Enoteca regionale di Ortovero. Insieme al Vermentino, nella gran parte dei casi, un vino immediato ed allegro. Fa pensare a un aperitivo sulla riva del mare. È vero. Questa parte di Liguria – nonostante la fatica “eroica” dei suoi produttori –  ancora fatica a promuoversi, a “sfondare” la barriera (resistente e compatta) di quello che in inglese si chiama “brand territoriale” e che noi potremmo tradurre con un pensiero più articolato: l’insieme complesso di cultura ed economia locale che assume una propria identità visiva, distintiva e riconoscibile.

Ma queste piccole aziende  – tutte a conduzione familiare – hanno un ottimo potenziale per fare rete e farla bene: resta il fatto che dovranno ancora impegnarsi molto per portare a un livello più alto possibile l’imprenditorialità del proprio progetto. Accanto all’attenzione a comunicarsi all’esterno, facendo tutto con generosità e accuratezza. Non è facile ma la scommessa è esattamente questa: quella che i giovani che stanno provando a rilanciare le aziende di famiglia, riescano a trasformarle in soggetti moderni e competitivi, dando valore alla propria storia, l’unica in grado di caratterizzarli.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi