Una forza rassicurante al centro dell’Europa. È stato questo il motto di Forza Italia per le elezioni di rinnovo del Parlamento europeo, ma quanto fa bene essere rassicurati se camminiamo su una strada che porta dritta verso un burrone? Tutti gli indicatori economici, basta guardarsi attorno, raccontano di un paese sfibrato e stanco, senza la possibilità che i suoi slanci possano essere accolti da un ecosistema favorevole e vantaggioso. Lo si vede dal potere d’acquisto, sempre più ridotto, a causa della bassa produttività del nostro tessuto industriale, e dai nostri giovani che vanno via lasciando un’Italia sempre più vecchia. E così la rassicurazione diventa una distrazione, che forse potrà rendere il viaggio meno pesante, ma non ci eviterà di cadere nel fossato.

I problemi del dettame liberale

Sì, i problemi sono quelli individuati dal dettame liberale: la tassazione alta, gli sprechi nel settore pubblico, la bassa infrastrutturazione – fisica e digitale – che si sommano a una giustizia ingiusta e a una burocrazia di lacci e lacciuoli. Ma la soluzione non sta nella conservazione, nell’arroccamento sul passato e nella gestione primorepubblicana del potere interno. Sta esattamente nella direzione opposta: quella della scommessa meritocratica, del rinnovamento che parte dal territorio, e dell’innovazione che trasforma l’impossibile in possibile. In qualcuno che ci dica insomma, quanto prima e con fermezza, che c’è bisogno di una svolta, che dobbiamo cambiare strada, e farlo più adesso che domani.

Giovani, vecchi e defunti

Lo ha compreso persino la Le Pen che a capo del partito ha piazzato un 28enne del ‘95, Jordan Bardella, a bilanciare e non solo nell’immagine la sua maturità politica. Non è un caso che gli under30 abbiano votato per la maggior parte i partiti del campo largo di centrosinistra, e che lo stesso abbiano fatto gli studenti fuorisede, iscritti al complicato meccanismo di voto a distanza. In Italia infatti da Bardella si passa a Barelli, e fa una certa impressione vedere nei festeggiamenti di Via in Lucina una schiera di brizzolati over60, con una sola donna accanto a loro: la vicesegretaria del partito Deborah Bergamini, in assenza dell’altro vicesegretario, Stefano Benigni, che avrebbe almeno bilanciato l’età media. A spuntare sullo sfondo il manifesto del compianto Presidente Berlusconi, presente ancora nel simbolo e nelle locandine, con nome e volto sorridente. Eppure nell’ultima settimana di campagna elettorale è mancata proprio quella proposta forte e geniale, alla quale ci aveva abituati il Cavaliere con il suo sorriso, procedendo invece con cautela e con tono austero e monocorde.

La lezione dell’elettorato

Si può dire infatti che il buon risultato di Forza Italia derivi più dalle leadership logorate dei competitor che dalle proposte nuove e accattivanti del partito azzurro. L’obiettivo dichiarato del 20% alle politiche diventa così difficile se non impossibile da raggiungere, se la proposta liberale non si aprirà al nuovo, partendo dall’assunto che ogni elezione è a sé e che la lotta per il parlamento nazionale sarà certamente più sentita di questa. Con queste modalità si può infatti reggere, ma non allargare, e in politica la stabilità è sempre il passo che anticipa il declino. Il centro riformista potrebbe infatti imparare dalla lezione ricevuta dall’elettorato, che evidentemente non ha gradito la separazione della proposta, l’accrocchio messo insieme solo per la composizione delle liste, e l’assenza di una calcina solida a tenerla unita: la proposta cioè di un riformismo liberale e popolare, non elitario e soprattutto coerente.

La strada giusta

Ma anche il partito di Salvini potrebbe imparare, rigenerando l’immagine logorata di un leader, avendo dimostrato con Vannacci che di nuove se ne possono sempre costruire. Uno dei principali problemi di Forza Italia sarà paradossalmente quello di aver superato la Lega (anche grazie a molti leghisti), perché potrebbe sortire nella sua dirigenza il pensiero di aver imboccato la strada giusta. Ma è solo un’illusione ottica. Tajani è stato molto bravo a trasformare velocemente il non-partito per antonomasia in un partito quasi vero, con la sua struttura di filiera, grazie a un congresso non scontato, ma certamente predeterminato. Adesso però dovrà avere la forza di superare le paure e le timidezze, aprendo il partito a quella classe politica di governatori, sindaci e militanti millennials – che pure non mancano – per realizzare lo stesso percorso che ha portato la giovane Giorgia dal 3% alla prua d’Italia di Palazzo Chigi.

Una casa ai liberali

Non è soltanto un tema generazionale, perché il giovanilismo in assoluto non è mai un valore, ma di capacità di lettura del presente, e di voglia di immaginare un domani, senza che a farlo siano persone logorate dal cinismo della politica. Soprattutto, oltre a far bene a Forza Italia, offrirà una casa a tutti quei liberali, moderati, (perché no) progressisti italiani, nella prateria vasta che esiste tra la Schlein, la Meloni e gli astenuti che hanno preferito il mare. Forza Italia potrebbe, dovrebbe o dovrà essere il partito di chi crede che la salvezza del Paese passi per il suo sviluppo industriale, la sua attrattività internazionale e il suo investimento in innovazione, cultura e ricerca. Compito della buona politica infatti non è solo quello di raccogliere – o peggio – mantenere il consenso, ma è soprattutto quello di costruire una realtà migliore, grazie a un sogno comune, che funziona solo se è aperto e partecipato. Allora forza, Italia.

Tommaso Cioffi

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