Puntualmente, come ogni anno, i sogni e i progetti di riscatto della nostra città si infrangono sulla brutale realtà delle classifiche che collocano Napoli e gran parte delle città meridionali, senza alcuna pietà e riguardo, agli ultimi posti per qualità della vita. Anche la 24ma edizione del Rapporto sulla Qualità della Vita in Italia, realizzato da Italia Oggi con la collaborazione dell’Università La Sapienza e di Cattolica Assicurazioni, non riserva sorprese positive. Napoli si colloca al 104esimo posto, scalando due posizioni rispetto all’anno scorso (era al 106esimo), davanti alle ultime tre città della classifica: Caltanissetta (105esima), Siracusa (106esima) e Crotone (107esima).

Possiamo soltanto consolarci di aver perso il penultimo posto dell’anno scorso, mentre Crotone resiste coerentemente (e forse anche fieramente) all’ultimo. Un piccolo passo avanti diranno gli irriducibili ottimisti, nulla è cambiato replicheranno i soliti pessimisti. La stampa locale ne parlerà per alcuni giorni, annoiando i lettori piacevolmente distratti dai successi calcistici che invece collocano la squadra partenopea al primo posto, gli amministratori ne prenderanno atto con una disinteressata scrollata di spalle, o, i più temerari tra loro, oseranno contestare i criteri della classifica, pensando al solito maligno complotto ordito contro Napoli. Tutto già visto. Si potrebbe osservare, per chiudere la discussione in maniera brutale, che non occorrono complessi criteri e sintetici indici per sanzionare ciò che ogni napoletano vive quotidianamente, mostrando il più esemplare spirito di sopportazione e adattamento alle avverse condizioni.

Ma le classifiche possono avere una loro utilità per mostrarci, sotto forma di fredde cifre, il gap che separa la nostra città da uno standard medio di benessere (non solo economico) che non è il prodotto di un miracolo o di un benevolo destino, ma il risultato di uno sforzo collettivo diretto a costruire le migliori condizioni di vita. Uno sforzo collettivo perché i risultati di Trento che guadagna quest’anno il primo posto della classifica, o di Parma che lo ha raggiunto nel 2021, o di Bologna e Milano, ai primi posti tra le città metropolitane (rispettivamente al terzo e al quinto), non sono solo il prodotto di una buona amministrazione, ma di una consapevolezza civile che identifica il benessere individuale con il benessere collettivo.

É il concetto di pubblica felicità, caro ai filosofi del Settecento, e che trovò proprio nel pensiero del napoletano Antonio Genovesi la sua più alta teorizzazione. Ed è un curioso paradosso che la città di Genovesi sia oggi tra quelle che vive la maggiore “infelicità pubblica”. Ma non è certo solo una questione di livello del reddito pro capite a definire la qualità della vita e la pubblica felicità. La classifica si basa su nove dimensioni d’analisi (affari e lavoro, ambiente, disagio sociale e personale, istruzione formazione, capitale umano, popolazione, reddito e ricchezza, sicurezza, sistema salute e tempo libero), articolate in 16 sottodimensioni e 82 indicatori di base. Se consideriamo gli indici che riguardano le condizioni di vita dei più deboli (disabili, anziani, giovani), poiché sono loro a subire di più il disagio della infelicità pubblica, la difficile realtà napoletana appare in tutta la sua crudeltà. Napoli è al 98esimo posto (su 107) per tasso di disoccupazione giovanile (al 53,41% tra 15 e 24 anni), all’83esimo posto per variazione della mortalità rispetto al quinquennio 2015-2019 tra gli over 65 anni (con un +12,11%, Bari ha il dato peggiore con +29,9%), la pandemia ha colpito quindi duramente, nonostante la presenza di strutture sanitarie (il capoluogo campano è al 25esimo posto nel complesso del sistema salute).

Non migliore il dato dell’istruzione e formazione che colloca Napoli all’89esimo posto, nel gruppo 4 considerato insufficiente (solo il 50,5% della popolazione tra 25 e 64 anni, è in possesso di almeno un diploma di istruzione secondaria, collocando la città al 95esimo posto, e solo il 20,1% tra i 25 e 39 anni possiede una laurea, pari al 90esimo posto, lo stesso livello è raggiunto per studenti con adeguate competenze alfabetiche e numeriche). Nonostante il patrimonio artistico e archeologico di cui gode, Napoli è all’87esimo posto per il tempo libero e il turismo, con strutture considerate insufficienti. Sono dati che invitano alla riflessione e sgonfiano la crassa retorica che accompagna certe posizioni politiche cittadine. Ma il lettore non si sconforti, tra treni che deragliano e crescenti code di poveri alle mense cittadine della Caritas, c’è sempre il calcio a dare un pizzico di pubblica felicità a questa martoriata città, riportandoci, una volta tanto, in vetta ad una classifica.