Nel 1848, il generale Guglielmo Pepe, a capo di circa duemila giovani volontari napoletani, accorse a difesa di Venezia minacciata dalle truppe austriache. Dopo quasi due secoli, Venezia onora un debito di riconoscenza con i napoletani inviando un suo illustre figlio, l’assessore Pierpaolo Baretta, a tentare di ristabilire i delicati equilibri economico finanziari del Comune di Napoli, impresa certamente più difficile della difesa di Venezia affidata al generale Pepe. No, il lettore non pensi a una facile e maligna ironia: l’impegno eroico di Baretta non può che suscitare simpatia e solidarietà umana (ancora più forte se paragonata alla indifferenza, al disimpegno e spesso all’incompetenza mostrata da gran parte delle cosiddette classi dirigenti locali).

E quanto sia generoso ed eroico il suo tentativo lo dimostra il primo atto contabile dell’amministrazione Manfredi, la presentazione al consiglio comunale del Documento Unico di Programmazione (DUP) e del Bilancio di Previsione 2022 – 2024. I limiti entro cui si muove questa amministrazione sono drammaticamente stringenti: non solo pesa l’eredità dell’amministrazione precedente, ma il quadro macroeconomico è in netto peggioramento e quindi i tempi del risanamento finanziario appaiono oggi più lunghi e incerti. Di fronte a questo quadro, lo stesso assessore ridimensiona fortemente il miracoloso Patto per Napoli che è solo servito a evitare il dissesto, ma non deve “creare l’illusione ottica” che i problemi siano tutti risolti. In questo contesto, il documento contabile intende proporre una linea “riformista”, che si concretizza in un “risanamento rigoroso, ma attento alle contraddizioni sociali; non di “lacrime e sangue”, ma non accondiscendente con ciò che non va”. Vediamo come questo obiettivo è coerentemente rappresentato dalle fredde cifre.

In primo luogo il piano di rientro dal disavanzo di 2,2 miliardi complessivi nel triennio di competenza 2022/2024 ammonta a 500.209.180. Al netto di ulteriori disavanzi di esercizio, molto probabili in un contesto macroeconomico in peggioramento (e già nel 2021 il peggioramento è stato di ulteriori 127 milioni), il disavanzo dovrebbe attestarsi alla fine del 2024 a 1.712.252.546. L’altro fardello che pesa sul bilancio è costituito dal debito finanziario di 2 miliardi e 740 milioni, di cui 1 miliardo e 170 milioni è costituito solo da interessi. Anche su questo fronte le prospettive non sono rosee, è vero che i tassi stabiliti sui mutui erano fuori mercato all’epoca della sottoscrizione, ma una ricontrattazione al ribasso in un contesto di pressione inflazionistica sembra oggi impossibile.

La spesa per oneri finanziari sarà quindi nel prossimo triennio pari a 724.445.333. Questo enorme peso che grava sui napoletani trova la sua genesi nelle cifre enormi della mancata riscossione: sfuggono all’erario comunale oltre 2,7 miliardi di entrate tributarie ed extratributarie (che formano i residui attivi iscritti in bilancio), di cui 102,6 milioni relativi il patrimonio. In sostanza la percentuale di incasso delle entrate tributarie tocca appena il 40% mentre quella delle extra tributarie è addirittura di poco superiore al 7%, mentre la percentuale di incasso del Patrimonio è del 13%. Questo è un dato strutturale che difficilmente può essere modificato nel breve periodo, in parte frutto di una mentalità anarchica che non caratterizza solo le classi meno abbienti della popolazione e in parte è prodotto di ampie fasce di povertà. Un nodo critico è certamente il recupero delle entrate correnti, affidato ad un potenziamento degli uffici con nuove assunzioni, alla riscossione coattiva ad una società specializzata e alla ricognizione attenta di situazioni di morosità, valutate in 264 milioni.

Per un vincolo imposto da leggi severe non sempre razionali, le entrate non riscosse creano il Fondo crediti di dubbia esigibilità, cioè poste di bilancio accantonate e sottratte alla capacità di spesa e di investimento, che ammontano nel triennio ad oltre 1 miliardo di risorse correnti. A fronte di queste passività, i flussi finanziari statali (il sostegno statale agli enti in deficit strutturale e riequilibrio finanziario a cui va aggiunto il patto) saranno pari a 554.458.945, cifra che dovrebbe superare il disavanzo per 54.249.765,06. «Ovviamente – sottolinea l’assessore – occorre evitare aumenti del disavanzo che annullerebbero questo vantaggio» e per questo ammette: «il percorso che ci attende è molto tortuoso e in salita». Questa dura premessa si riflette ovviamente sulle scelte strategiche relative alla struttura della spesa, in primo luogo va affrontato il nodo critico delle società partecipate con il piano di riordino che va presentato al governo entro il prossimo primo settembre. Nel triennio gli investimenti previsti ammontano a 1.943.130.830, distribuiti a pioggia su diversi capitoli di spesa e concentrati prevalentemente sul primo anno.

Più che a scelte strategiche di sviluppo, la giunta punta alla gestione della difficile quotidianità. Il 44,28% degli investimenti del triennio sarà concentrato sulla metropolitana, l’11,48% sulla riqualificazione urbana, il 4,18% sulla manutenzione, il 2% sull’ambiente, l’1,99% sull’igiene cittadina, l’1,83% sull’edilizia scolastica, solo lo 0,42 sul Welfare. Altre voci di spesa importanti, come il sistema fognario, la cura del verde, l’efficientamento energetico ricevono stanziamenti minimi oscillanti intorno all’1%. Ovviamente con cifre così irrisorie poco si potrà fare. La giunta avrebbe potuto fare una scelta più appropriata evitando di distribuire a pioggia gli esigui fondi concentrandosi su assi strategici, come la scuola per esempio, dato la difficile condizione degli adolescenti nella nostra città. Ma per certe scelte in condizioni di scarsità occorre coraggio e risolutezza, doti che purtroppo non appartengono a questa amministrazione.