Il lungo e certamente tormentato percorso che dovrebbe condurre al risanamento finanziario del Comune di Napoli è stato ufficialmente avviato dalla relazione dell’assessore al bilancio Pier Paolo Baretta, presentata al Consiglio Comunale. Come lo stesso assessore ha sottolineato, le aspettative dell’amministrazione erano ben più ambiziose: il famoso Patto per Napoli, sottoscritto dalle principali componenti che hanno sostenuto la candidatura di Manfredi, puntava, ricordiamolo ai lettori, ad attivare una procedura per la gestione commissariale del debito, sulla base di quanto già stabilito per Roma nel 2008, ad una dotazione finanziaria per abbattere il debito da 500 milioni ad 1 miliardo annui per il triennio 2021-2023 e ad un piano di assunzione e di riqualificazione del personale.

Ciò che il governo ha elargito è molto meno (forse 400-500 milioni per tre anni) e lo ha concesso subordinandolo a rigide condizioni. Ciò che è stato sbandierato come un successo è in realtà una evidente sconfitta politica: perché il Patto per Napoli, concepito come lo strumento propagandistico di una parte politica, non poteva essere recepito sic et simpliciter da un governo composto da forze direttamente concorrenti sul piano locale con quelle che proponevano il patto. La scelta miope compiuta dallo schieramento di Manfredi ha di fatto impedito che la questione napoletana fosse valutata come questione nazionale e di conseguenza affrontata con strumenti idonei. Se la questione del disavanzo napoletano fosse stata assunta direttamente dal governo Draghi, e cioè fosse stata svincolata dal patrocinio di una parziale etichetta politica, l’esito sarebbe stato diverso e certamente più favorevole. Il Patto per Napoli in fondo ha svolto lo stesso ruolo politico delle scarpe e della pasta che il comandante-sindaco Achille Lauro prometteva ad ogni sua campagna elettorale ai cittadini napoletani. Solo che questa volta scarpe e pasta non sono arrivate ai fedeli elettori e il Patto è rimasto solo una bella promessa.

Altra cosa è invece la dura realtà che ora attende i cittadini di Napoli, e che l’assessore con algida precisione nordica traccia nella sua relazione, indicando un percorso “molto impegnativo, complicato e coraggioso”. La questione del pareggio di bilancio – afferma Baretta – non dipende soltanto dall’abbattimento, necessario, del debito, ma, soprattutto, dalla certezza delle entrate proprie”, la cui difficile riscossione costituisce il maggior problema strutturale (solo il 27% delle tasse a ruolo sono effettivamente riscosse, per una cifra irrisoria riscossa di 20, 30 milioni negli ultimi anni), ed è questo il maggior nodo da sciogliere. Il primo passaggio difficile sarà l’accordo con il governo che dovrà essere stipulato il 15 febbraio prossimo e che dovrà definire gli interventi di competenza dell’amministrazione comunale a copertura di un quarto del contributo statale assegnato.

Una manovra di circa 100 milioni (sui 400/500 stanziati a fondo perduto dal governo) che l’assessore intende spalmare sul triennio 2022-2025 “attraverso un mix di interventi composti per il 2022 dal solo ricavato di cessioni già in via di realizzazione (come la rete del gas) e dal miglioramento della riscossione. Per gli altri anni, dai primi effetti contabili della valorizzazione di patrimonio; dai risparmi derivanti dalla riorganizzazione dei servizi e degli uffici e, solo residualmente, dall’intervento fiscale”. Il progettato incremento della addizionale Irpef, pari allo 0,1-0,2%, prevederà una fascia di esenzione più ampia e quindi graverà di fatto sul ceto medio di lavoratori dipendenti che già sopportano la maggior parte della pressione fiscale.

A questo si aggiungerà l’incremento di ulteriori balzelli come la tassa di imbarco aereoportuale, mentre resta ancora confuso e incerto il destino delle partecipate e la valorizzazione del patrimonio comunale, questioni che dovranno essere chiarite nero su bianco entro il 15 febbraio. La questione del bilancio sembra assorbire tutte le energie della nuova amministrazione, e mentre l’attenzione è concentrata sul debito, Napoli è stata esclusa dai finanziamenti infrastrutturali previsti dal PNRR per Zona Economica Speciale. Un segnale molto negativo che rivela una carenza di progettualità della amministrazione.