Occhi sull’Abruzzo. Ovviamente, a Palazzo Chigi, la priorità è la vittoria di Marco Marsilio, governatore uscente, espressione più genuina di Fratelli d’Italia. L’importante è vincere, anche con un risultato di misura. Ma Giorgia Meloni è in allarme per quella che sarà la performance della Lega. Dopo il 3,8% raccolto in Sardegna, è lo stesso Matteo Salvini a fissare l’asticella per quanto riguarda l’Abruzzo. “Sul risultato della Lega sono assolutamente ottimista, risultato a due cifre”, ha detto il segretario federale del Carroccio, nonché ministro delle Infrastrutture e vicepremier, a margine del comizio di Pescara, dove ha condiviso il palco con Meloni e Antonio Tajani.

Un obiettivo “non facile”, stando a sentire le voci che filtrano dagli alleati del centrodestra di Fratelli d’Italia e Forza Italia. E però perfino un risultato al di sopra del 10% rappresenterebbe comunque una débâcle per Salvini, che cinque anni fa si era imposto nettamente in Abruzzo, sfiorando il 26%. Un altro mondo, certo. A maggior ragione se consideriamo l’evoluzione repentina delle dinamiche politiche che abbiamo osservato negli ultimi anni. In ogni caso, a Palazzo Chigi e a Via della Scrofa, quartier generale di FdI, terranno d’occhio la percentuale della Lega. I fedelissimi di Meloni squadernano tutti gli scenari, compresi quelli più problematici per il Carroccio. Un Salvini nettamente sotto il 10%, ma anche intorno all’8%, percentuale accreditata ai leghisti dall’ultimo sondaggio sulle europee, farebbe scattare l’allarme rosso dalle parti di Palazzo Chigi. Un tonfo totale, sotto all’8%, aprirebbe prospettive, che vengono definite “imprevedibili”.

Scenari complicati, anche nel caso di una batosta della Lega che però non pregiudicherebbe la riconferma di Marsilio, tutt’altro che scontata. La fuga di Salvini dal palco di Pescara non è passata inosservata, agli occhi di Meloni. E i segnali di insofferenza potrebbero crescere a ritmo più spedito se per la Lega arrivassero soprese negative dalle urne abruzzesi. Le tensioni, inevitabilmente, si scaricherebbero sulla tenuta del governo. È questo il fantasma che agita Meloni, a due giorni dallo sprint finale di Marsilio. Salvini, pressato da una fronda interna sempre più agguerrita, è pronto a chiedere “più collegialità” nell’azione di governo. Più spazio nel prossimo giro di nomine, che si aprirà a primavera. Una tornata che toccherà alcune partecipate fondamentali per Salvini, come Ferrovie dello Stato e Anas. Ma anche la Rai e Cassa Depositi e Prestiti. L’offensiva salviniana potrebbe spingersi fino alla richiesta di un rimpasto di governo. Senza dimenticare il terzo mandato per sindaci e governatori, su cui il vicepremier e segretario della Lega potrebbe rilanciare. In vista delle europee, nel Carroccio guardano con preoccupazione anche all’attivismo degli ex leghisti bossiani guidati da Roberto Castelli, che hanno ufficializzato un’alleanza con Sud chiama Nord del pirotecnico sindaco di Taormina Cateno De Luca. Notizia: De Luca, detto “Scateno”, non dovrà raccogliere nemmeno le firme per correre alle elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento di Bruxelles e Strasburgo. Nel frattempo Forza Italia prova a corteggiare i leghisti delusi. Proprio come Marco Reguzzoni, ex capogruppo alla Camera, bossiano ortodosso, appena approdato alla corte di Tajani. E gli azzurri non escludono nuovi ingressi.

Meloni oggi sarà al Nord. A Pordenone, dove firmerà il patto di coesione con la Regione Friuli Venezia Giulia. Ad accoglierla ci sarà il governatore Massimiliano Fedriga, leghista. Uno che potrebbe prendere il testimone di Salvini alla guida della Lega. E poi c’è l’Europa. La premier ieri, a Palazzo Chigi, ha ricevuto l’ex segretario del Pd Enrico Letta, in veste di presidente dell’Istituto Jacques Delors, incaricato di redigere un rapporto di alto livello sul futuro del mercato unico. Meloni ha esortato a “rivedere le priorità della transizione verde europea”. Un obiettivo molto simile a quello formalizzato dal congresso del Partito Popolare Europeo. Solo che il Ppe ha scelto come candidata designata alla guida della Commissione Europea l’uscente Ursula Von der Leyen. Dopo le europee, infatti, si profila una nuova “maggioranza Ursula” con popolari, socialisti e liberali. Difficile un accordo con i conservatori di Meloni, che era uno degli obiettivi di più ampio spettro della presidente del Consiglio. Premier che sicuramente non entrerà nel Ppe a causa del veto dei tedeschi della Cdu, il partito di Von der Leyen.