La proposta di Dario Franceschini di assegnare ai nuovi nati obbligatoriamente solo il cognome della madre mi ha lasciato a dir poco perplessa. In realtà, alle prime battute, non credevo che un’idea del genere potesse alimentare un dibattito così intenso e confuso. Il tema, però, è di straordinaria importanza e mi è caro da molto tempo, così credo sia utile provare a mettere ordine in quello che si è detto in questi giorni, riportando il discorso a quote più concrete.

Le intenzioni chiare

Dico subito che le buone intenzioni di Franceschini mi sono chiare, così spazziamo il campo dalla noiosa polemica politica che ha sempre il grave difetto di depotenziare il confronto tra le idee, spostando l’attenzione su quello tra le parti. Detto questo, però, è importante sottolineare che si tratta di una proposta completamente insensata e che trova nelle motivazioni che sono state esposte le sue principali e insanabili debolezze. Il primo concetto sul quale occorre soffermarsi è quello del risarcimento. Franceschini dice infatti che una scelta del genere, ovvero quella di imporre l’assegnazione del cognome materno, assumerebbe il valore di un risarcimento nei confronti delle donne. Non c’è dubbio – a questo proposito – che le donne, finché hanno dovuto assistere impotenti all’imposizione dei cognomi paterni, abbiano subito un torto. Così come è abbastanza evidente che questo torto abbia rappresentato un danno. Si tratta però di una circostanza storica – che peraltro nel nostro Paese si è fortunatamente risolta – che non attende un risarcimento formale, per di più se di segno uguale e contrario.

La sostanza naturale dei diritti fondamentali

Ed ecco il punto: associare il concetto di risarcimento al riconoscimento di un diritto, dimostra di non aver proprio compreso la sostanza “naturale” dei diritti fondamentali. Non a caso parliamo di ri-conoscimento di diritti, perché essi preesistono alla loro formalizzazione. I diritti non si inventano e quella proposta da Franceschini in favore delle donne sarebbe invece una svilente invenzione che avrebbe il solo effetto di circostanziare pericolosamente la libertà femminile e la dignità della donna nel contesto familiare. La preziosa conquista della libera scelta del cognome per i nuovi nati contiene qualcosa di più di quello che Franceschini dimostra di aver afferrato. Perché nella libertà è compreso il suo connotato fondamentale: ovvero la scelta. L’obbligo “matriarcale” immaginato da questa zoppicante proposta, invece, comprimerebbe la libertà di entrambi i partner che – sommessamente voglio suggerire a Franceschini – si dovrebbe avere l’ambizione possano essere anche entrambe donne o uomini. C’è di più. L’idea di risarcire con la valuta di un esorbitante pseudo-diritto espone alla percezione che tutta la questione si svolga in un ciclo storico che potrebbe ripetersi. Al punto che, se sciaguratamente questa proposta vedesse luce, ci potremmo ritrovare da qui a quaranta o cinquant’anni a dover provvedere a un altro risarcimento, in favore degli uomini danneggiati. E chi terrebbe la contabilità di questo interminabile travaso di squilibri? A queste domande in genere si risponde: il buon senso. Ecco, accorciamo i tempi, proviamo a usarlo da subito.