Il profilo
Al Jolani, il lupo vestito da agnello temuto da Israele. Se il cambio look non basta per dimenticare il passato
Dopo avere mantenuto per anni la leadership di Idlib, scatenato l’offensiva su Damasco e deposto l’ex dittatore siriano Bashar al-Assad, il capo dei ribelli, Abu Mohammed al-Jolani ha un obiettivo: far dimenticare il suo nome di battaglia. Da qualche tempo preferisce farsi chiamare con il suo vero nome, Ahmed al-Sharaa. Un nome che non ricorda il suo passato da ammiratore del jihad e di ex fedelissimo di Al Qaeda. Un nome che non evoca il Golan (al-Jolani, per molti analisti, deriva dalla regione da cui il nonno fu costretto a fuggire dopo l’annessione israeliana). Un nome “neutro”, quindi, perfetto per l’evoluzione che al-Jolani/Sharaa vuole mostrare al mondo. Perché è proprio da questo percorso che dipende il credito nei suoi confronti da parte della comunità internazionale. E questo riguarda tutto il processo di normalizzazione della Siria. Un processo che significa convivenza pacifica tra diverse confessioni religiose, tra diverse etnie, scioglimento delle milizie, inclusione delle minoranze e riforme costituzionali. Insomma, al-Jolani deve svestire i panni del leader di un gruppo come Hayat Tahrir al-Sham e mettere gli indumenti di un leader nazionale. Capace di mediare, di gestire l’autorità, l’ordine e i rapporti internazionali. Qualcosa di molto diverso dall’Emirato afghano sorto dopo che i Talebani hanno preso Kabul con il ritiro dell’Occidente.
Il primo assaggio dell’evoluzione di al-Jolani
Un primo assaggio di questa evoluzione, al-Jolani l’ha già dato, almeno nelle forme. Quando è apparso a Damasco e ha proclamato la presa del potere nella Grande moschea della capitale siriana, al-Jolani è apparso in abiti militari. Barba lunga, ma ben tenuta. Un colore verde oliva che nulla a che vedere con gli indumenti tipici dei leader islamisti. Un cappello con visiera che a molti è apparso curiosamente simile a quello di Fidel Castro. E forse quel copricapo e quella divisa, oltre a dare l’immagine di un leader militare più che forgiato sull’islamismo, hanno dato anche un altro indizio. Quello della trasformazione di al-Jolani in qualcosa di più un semplice capo dei ribelli di Idlib che aveva fondato il ramo siriano di Al Qaeda. Un leader islamista che però ha saputo gestire la sua roccaforte, Idlib, con una sorta di governo dei tecnici. Un ribelle vicino all’organizzazione fondata da Osama bin Laden che però vuole governare un paese multiconfessionale e dove la convivenza è stata la costante di tutto il regime precedente. Un capopopolo partito dal basso, capace di condurre le milizie alla vittoria in poco tempo ma che non vuole cancellare le istituzioni precedenti, ma sostituirle, ricrearle e senza dare l’immagine di un Califfato al posto di una dittatura.
La verità dietro la trasformazione
Quanto sia vera questa trasformazione di al-Jolani è difficile da dire, e forse solo il tempo potrà effettivamente confermare o smentire le aspettative di certi osservatori o funzionari occidentali. Israele continua a guardare con sospetto quello che il viceministro degli Esteri ha definito “un lupo travestito da agnello”. Ma quello che teme lo Stato ebraico è anche un altro elemento, e che non riguarda solo le vere intenzioni di Sharaa in Siria. La preoccupazione di Israele, infatti, è che questo modello di leadership possa replicarsi, che possa investire anche altri paesi, e scatenare un effetto domino in tutto il Medio Oriente che possa colpire anche governi o Stati tutto sommato vicini allo Stato ebraico. L’allarme si è tradotto anche in un incontro avvenuto in Giordania tra i più alti funzionari dei servizi israeliani e gli interlocutori di Amman. La monarchia hashemita è debole, sempre meno apprezzata dalla popolazione, le frange ostili al re Abdallah sono in aumento, fomentate, secondo gli esperti e l’intelligence, anche dall’Iran. Il paese confina con la Siria e con la Cisgiordania, rischiando così di creare un pericoloso corridoio anche per la sicurezza di Israele.
L’avvertimento
Gli apparati di Benjamin Netanyahu hanno avvisato i loro vicini di questa possibile evoluzione. E questo avvertimento si intreccia anche con il tipo di figura che può incarnare il capo dei ribelli nell’immaginario collettivo di una regione abituata a schemi politici spesso usurati. Un “uomo forte” che arriva dal basso. Un capo militare islamista ma che non ha intenzione di imporre un emirato islamico. Una figura capace di rovesciare un regime ormai logoro e che dialoga con l’Occidente. Un leader sunnita che sa trasformare il suo movimento ramificandosi negli apparati di uno Stato. Un “tecno-islamista”, come lo definisce Le Grand Continent, che potrebbe anche trovare adepti e seguaci al di fuori dei confini siriani. E che per la regione rischia di rappresentare una novità. Una novità che può interessate soprattutto i paesi dove le leadership appaiono stanche o sempre meno radicate tra la popolazione. E non a caso dopo averlo visto in divisa verde, qualcuno ha parlato di cheguevarizzazione di al-Jolani. Resta però il punto interrogativo più grande. Capire se questa conversione sia vera o solo il frutto di un calcolo politico. Un calcolo che non tutti, in altre parti del Medio Oriente, potrebbero fare.
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