Gentile Direttore,
Alfredo Cospito è arrivato al trentasettesimo giorno di digiuno. Il suo corpo ha perso oltre 20 kg. Il prossimo primo dicembre è prevista la decisione relativa al reclamo presentato dai suoi legali in merito all’applicazione del regime di 41-bis. Intanto, la vicenda dell’anarchico che digiuna contro il regime speciale di detenzione comincia, finalmente, a suscitare qualche interesse: un certo numero di articoli e interviste e interrogazioni parlamentari da parte di deputati e senatori (Peppe De Cristofaro, Ivan Scalfarotto, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi e Silvio Lai); e una settimana fa la visita del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, Mauro Palma. Ma la gran parte del sistema mediatico e dei canali radiotelevisivi, per non parlare delle autorità politico-istituzionali, continua a ignorare il fatto. E questo è molto grave, perché la vicenda di Cospito evidenzia, con tutta la forza di un corpo che si espone alla prova crudele del digiuno, un paio di cruciali questioni di giustizia.

La prima richiama il problema della ostatività, prevista dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, che interdice ai condannati che non abbiano collaborato con la magistratura il godimento dei benefici penitenziari e, in caso di ergastolo, la possibilità di accedere alla liberazione condizionale dopo 26 anni (oggi, a seguito dell’intervento del governo Meloni, dopo 30) di reclusione. La seconda questione è rappresentata dal regime di 41-bis, la cui esclusiva finalità è, per la legge, quella di interrompere i rapporti tra il detenuto e l’organizzazione criminale di appartenenza, ma la cui applicazione trascende di frequente i limiti previsti dalla norma. Così che la reclusione in 41-bis tende a tradursi in un sistema di privazioni e afflizioni che nulla hanno a che vedere con la ratio della legge e che rischiano di trasformarsi in altrettanti provvedimenti persecutori.

Il caso di Cospito è, sotto questo profilo, esemplare. La corrispondenza a lui destinata viene trattenuta e questo limita fortemente la sua possibilità di comunicazione, di relazione con familiari e amici, di rapporto con la propria area politica, di collaborazione all’attività di ricerca e di elaborazione. Altrettanto limitata è la sua possibilità di socializzazione, dal momento che i rapporti consentitigli con altri tre detenuti sono ormai ridotti a quelli, occasionali, con una sola persona. D’altra parte, le ore d’aria cui ha diritto possono essere trascorse esclusivamente all’interno di un cubicolo dai muri molto alti, che permettono di guardare il cielo solo attraverso una grata posta sul soffitto.

Contro tutto questo Cospito ha deciso di intraprendere lo sciopero della fame, perché – così ha scritto – «La vita non ha senso in questa tomba di vivi». Ieri, giovedì, la dottoressa Angelica Milia, su incarico del difensore Fabio Rossi Albertini, ha potuto visitare il detenuto e l’ha trovato «in condizioni discrete», pur se patisce assai il freddo e se, per precauzione, non usufruisce dell’ora d’aria. La dottoressa lamenta «alcune trascuratezze nel trattamento medico», come il fatto che non gli sia stata garantita una copertura gastrica e che il numero e la qualità degli integratori, per altro concessi con grande ritardo, non siano adeguati.

Inizialmente al medico di fiducia erano state frapposte numerose difficoltà persino nel consultare la cartella clinica del paziente. Oggi, dal momento che quello di Cospito – come ha detto un sanitario del carcere «è diventato un caso mediatico», c’è stata maggiore collaborazione. Il detenuto ha detto alla dottoressa Milia di avere fiducia nell’udienza del primo dicembre; in ogni caso, si dichiara fermamente intenzionato a continuare il suo digiuno. Anche perché dalle autorità e, segnatamente, dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, non è giunta finora alcuna risposta. E nemmeno il più piccolo segnale. La solitudine del 41-bis può essere davvero assoluta.