“La madre di tutti i sequestri”. Così l’ex magistrato Silvana Saguto, emblema di un’antimafia di carta finita nella polvere, definiva la pratica Cavallotti. Imprenditori di Belmonte Mezzagno arrestati nel 1998 nell’ambito dell’operazione Grande Oriente, accusati di associazione mafiosa. Dopo un lungo calvario giudiziario, nonostante la sentenza definitiva di assoluzione, ai fratelli viene confiscato tutto il patrimonio. Dietro c’è il sistema “perverso e tentacolare” messo in piedi dall’ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo.

Pietro Cavallotti, erede della famiglia finita al centro del cerchio magico di Saguto e membro del Consiglio direttivo dell’associazione “Nessuno tocchi Caino”, non vuole “sentire parlare di giustizia fino a quando non ci verranno restituiti i beni”. Cavallotti è stato ascoltato dalla Commissione antimafia siciliana – presieduta dal presidente Claudio Fava – che un mese fa ha presentato la relazione dedicata al tema della gestione dei beni confiscati. L’audizione di Cavallotti, che in un passaggio ha puntato il faro sui corsi di alta formazione per amministratori giudiziari tenuti dall’università, non è stata ben accolta dall’ateneo palermitano. Che con una nota ha duramente attaccato l’organo parlamentare regionale.

Cavallotti si aspettava una simile reazione alle sue dichiarazioni? Nella nota dell’università viene definito “tal Cavallotti”.
Onestamente no. Il professore Aldo Schiavello (tra gli autori della nota, ndr) si è scusato e per me è un argomento chiuso. Ma mi pongo diverse domande.

Quali?
Mi chiedo come mai l’università si interessi così tanto a me. Forse dà fastidio una persona che ha vissuto sulla propria pelle le storture delle misure di prevenzione e che ha la forza di denunciarle? Forse dà fastidio il fatto che io abbia parlato dei corsi di alta formazione per amministratori giudiziari che si svolgevano nell’abbazia Sant’Anastasia? Il mestiere di imprenditore non si può insegnare nei corsi per amministratori giudiziari. A svolgere quei corsi erano magistrati, avvocati, professori. Mancavano le competenze manageriali.

E che risposta si è dato alle sue domande?
Fino a quando parlavo attraverso Nessuno Tocchi Caino, col Partito Radicale o scrivevo post su Facebook, non c’era alcuna attenzione da parte dell’università. Quando, poi, sono stato sentito in un contesto istituzionale e le nostre proposte di legge sono state recepite da alcuni parlamentari qualcosa è cambiato. Ed ecco queste reazioni nei miei confronti tese a delegittimarmi solo perché sono figlio di una persona assolta alla quale alcuni giudici hanno tolto il patrimonio.

A “Il Riformista”, Costantino Visconti, professore di diritto penale dell’università di Palermo, ha dichiarato che, con questa relazione, “l’Antimafia siciliana ha sprecato una chance” e, parlando di lei, la Commissione ha sbagliato a qualificarla come imprenditore. Cosa risponde?
Nutro grande stima nei confronti del professore Visconti ma mi chiedo, ancora, da cosa origina quest’attenzione nei miei confronti. Che, talvolta, sconfina in dichiarazioni che mirano a squalificarmi. C’è da chiedersi come mai l’università non abbia mai attaccato l’operato delle precedenti commissioni. E stavolta, invece, sì.

Secondo lei l’Antimafia regionale ha “sprecato una chance”?
Il messaggio del presidente Fava è stato importante perché è stato sentito un imprenditore colpito dalle misure di prevenzione. Un messaggio molto potente, passato inosservato. È un passo in avanti della politica. Che sembra voler capire cosa non funziona nelle misure di prevenzione. Evidentemente questa analisi, che credo dovrebbe unire tutti per rendere più efficiente il contrasto alle mafie, a qualcuno non piace. C’è un dogmatismo dell’antimafia per cui chi non è allineato viene delegittimato.