Per noi l’America, nel senso degli United States of, è tosta da capire. Tutti vediamo che il Congresso – il tempio della democrazia– ha convocato come se fosse (ed è) il tribunale dell’Inquisizione, i big Ceo di Apple, Facebook, Amazon, Instagram e tutti i social per essere giudicati ed eventualmente mandati al rogo. Che significa? Bisogna fare un passo indietro. Il 1929, vi dice nulla? Certo: la catastrofe, Wall Street che crolla fa crollare per effetto domino tutto il mondo, fino alla fragile e instabile repubblica di Weimar tedesca che finisce nelle fauci di Hitler. Fino ad allora gli States erano una potenza di capitalismo puro e selvaggio. C’era il mercato – Wall Street appunto – e tutto ciò che accadeva nel mercato era buono, tutto ciò che era statale era cattivo. Regole semplici, anzi niente regole, salvo: arricchitevi, il mercato ha le sue regole. Ma nel 1929 accadde l’impensabile e l’America finì a terra fino alla guerra mondiale. Fu la guerra mondiale a rimettere in piedi l’industria americana e peraltro nel modo più statalista possibile: tutte le industrie americane compresi i servizi, diventarono fornitori di un unico committente, lo Stato federale dopo l’attacco giapponese di Pearl Harbor nel dicembre del 1941. Finita la guerra e rientrate le truppe che procrearono i baby boomers, gli States capirono che bisognava darsi una regolata.

Che cos’aveva prodotto la terrificante crisi del ’29? Tutti furono d’accordo: i monopoli. In un Paese che vive di mercato e di democrazia di mercato non si possono tollerare monopoli così come non si possono tollerare dittatori in democrazia. Le cose vanno di pari passo.
Nell’eterna discussione se il Nazional Socialismo hitleriano fosse più socialista o più capitalista, oggi prevale la prima risposta: nel Terzo Reich c’erano imprenditori ricchi sfondati ma erano solo monopolisti al servizio del regime, come i Krupp. Anche nell’Italia fascista vivevano soltanto le grandi imprese che saziavano le necessità stataliste di un regime che spendeva in guerre e welfare. Ma né a Londra né a Washington amavano bizzarrie monopoliste, benché in Inghilterra fosse già presente una forte componente socialista incline a statalizzazioni sostenute dal Labour Party.  In America no: in America se occupi un’area di mercato tagliando le gambe alla concorrenza, anziché batterti ad armi pari e alla luce del sole, commetti il più alto degli alti tradimenti. Il mondo dei social, delle tecnologie computerizzate e del mercato Nasdaq (parallelo al Dow Jones di Wall Street) è per sua natura tendente al monopolio.

Quando Apple ha creato lo smart phone IPhone, ha creato un monopolio. E non è che in America il Samsung sia molto diffuso. Se entri in un negozio e chiedi un Samsung, non parliamo dell’Huawei cinese, potrebbero chiederti da quando non vedi uno psichiatra o se hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male. Ma i social non sono solo macchine. Sono software, programmi, invenzioni, twitter, messaggistica, e lì si è sviluppata una nuova umanità che è insieme commerciale, ideologica, editoriale, tecnologica, spionistica. I cinesi – che si sono costruiti una seconda America nel loro spazio di comprensione culturale per poter copiare il modello – conoscono benissimo la questione, come la capiscono i russi che non producono nulla, salvo legioni di hacker, copiatori di programmi, creature elettroniche di doppia e tripla personalità. Oggi, o meglio ieri per chi legge, il presidente Trump ha inviato al Congresso un messaggio rude, com’è nel suo stile: «Fate qualcosa contro questa gente che viola i principi dello Stato fondato sulla libera iniziativa e sull’aperta concorrenza, altrimenti sarò costretto ad intervenire io con i miei poteri presidenziali».

Perché Trump è infuriato? Ma per una cosa banalissima, ovviamente in contrasto con la libera concorrenza. E cioè il fatto che tutti i media e i social, da Twitter a Instagram a Facebook, più a suo parere l’intera casa di Cupertino, sono liberal nel senso americano “di sinistra”.
Dunque, sono strumenti che agiscono asimmetricamente convogliando soltanto istinti, parole, slogan che coincidono con il voto democratico contro quello repubblicano, per la banale legge editoriale secondo cui, come diceva Benjamin Disraeli, copiato da Georges Clemenceau «se non sei di sinistra a vent’anni, non hai cuore e se non sei conservatore a quaranta, non hai cervello». Oggi non si tratta di un conflitto fra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, ma di un conflitto sull’essenza dell’anima del capitalismo come base della democrazia e della democrazia come condizione necessaria ma non sufficiente del capitalismo. Il Ceo di Amazon è stato tradotto alla sbarra come un eretico accusato di congiungersi col demonio. Il presidente chiede: «Benché Amazon sia meno tecnologica rispetto alle altre compagnie come Google o Apple, voi però avete il monopolio della spedizione in pacchi. Lei deve rispondere solo con un sì o un no. Voi usate i vostri impiegati per rubare dati alle altre compagnie?». «Non posso dire sì o no – dice il Ceo di Amazon, ma non posso escludere che ciò avvenga».

Google va sotto torchio per pratiche demoniache sulla pubblicità: «Voi violate i diritti delle controparti, vero?». No signore. Noi cerchiamo di rispettare tutti. «Cercate?» Sì, cerchiamo. Il processo va avanti e chiunque voglia respirare l’aria che tira può andare ad annusarla nella sezione video del Wsj. Ciò che colpisce è il fatto che tutto quanto stia accadendo negli Stati Uniti fa parte di una religione laica che si chiama “libero mercato” e che è l’unica religione protetta dallo Stato e dal Congresso. Se manca la concorrenza, manca lo stimolo alla diversità, manca il pluralismo, manca la possibilità di fallire e avere successo, manca la possibilità di essere confrontati e valutati per ciò che si è. Suona familiare, da noi? Neanche per un milionesimo di millimetro. È un altro mondo, e può darsi che sia giusto detestare quel mondo, ma è anche finora l’unico mondo che è in grado di fornire in modo spontaneo e non ideologico gli antidoti per qualsiasi fuga antiliberale in senso autoritario dirigista, fascista o comunista. I nemici del libero mercato sono le uniche streghe di cui tutti i politici americani – repubblicani o democratici – vadano a caccia con lo stesso schioppo per poi bruciarle sullo stesso rogo.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.