Il campo largo è sempre più stretto
Armi e giustizia, il vero Dna del Pd e il doppio gioco con i 5 Stelle di Conte
Da quando esiste la formula del campo largo, cioè dell’alleanza strategica del Pd con i Cinque stelle, ogni volta che si parla di giustizia i dem tendono a dare la colpa ai loro partner. Non sono loro che amano i manettari, non sono loro che non vogliono le riforme. Non sono loro che vogliono ostacolare il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Almeno così hanno provato a farci credere, spiegandoci che serviva a spostare a sinistra i populisti, che era necessario per battere la destra, che serviva a spezzare l’asse tra Conte e Salvini. Ne abbiamo sentito di tutti colori, pur di giustificare il timido atteggiamento del Nazareno nella battaglia fondamentale contro il giustizialismo, quel male che ha inficiato non solo il ruolo della magistratura, ma anche la politica, l’informazione, l’opinione pubblica.
Oggi scopriamo che su altri temi il Pd non si preoccupa più di tanto di un possibile scollamento con i Cinque stelle. Che se si tratta di armi, la linea è chiara: più armi, più armi, più armi. Costi quel che costi. A tal punto che viene il dubbio che forse anche sulla giustizia, quello che si attribuisce a Conte, è in realtà nel Dna del Pd e che il vero giustizialismo non è una scelta per tenere vivo il campo largo, ma quel campo largo è solo una giustificazione per non mettere in discussione la propria cultura politica. La scelta di Conte di dire no all’aumento del budget per le spese militari ha tante ragioni. Non sbaglia probabilmente chi la legge in chiave anti-Draghi, presidente che l’avvocato del popolo non ha mai amato perché anti-populista e perché gli ha rubato il posto. C’è anche il problema di restare fedele alla linea del vero leader grillino, cioè Marco Travaglio, diventato improvvisamente pacifista senza se e senza ma. Non è detto poi che Conte sia veramente convinto del suo posizionamento e che invece non sia una mossa per recuperare consenso, visto che i sondaggi danno il Movimento con percentuali sempre più basse. Sono tutte ipotesi vere che si intrecciano con il problema della rielezione.
Resta il fatto che l’ex premier ha detto no alle armi e a quella escalation che ci potrebbe portare dritti dritti alla guerra nucleare. Perché questa volta il Pd non lo ascolta? Perché questa volta l’alleanza con lui non è sacra? Ha resistito a tutto. Anche alla sentenza del Tribunale di Napoli che di fatto disconosce la nomina di Conte a presidente dei Cinque stelle. Ha resistito soprattutto alla guerra che i Cinque stelle fanno a una giustizia giusta, alle carceri più umane, alla richiesta di mettere in discussione il potere ormai fuori controllo della magistratura. Questa volta invece no. Davanti al Conte pacifista anche Goffredo Bettini non ha niente da dire, non rivendica la sua creatura, quell’alleanza su cui ha puntato tutto, condizionando diversi passaggi della vita del Pd.
Si poteva aprire una discussione non tanto con Conte, ma con i movimenti pacifisti che dicono no al riarmo e che sono contrari ad alimentare la guerra con l’invio delle armi. Si poteva e ancora si possono ascoltare le parole di Francesco che ha definito “pazzia” questa escalation militare. Colpisce l’indifferenza con cui gran parte dell’informazione e la politica hanno accolto il suo monito, il suo urlo di dolore. Ha detto “mi vergogno di quegli Stati che hanno deciso di aumentare le spese militari”. Una frase durissima. Possibile che i politici non si sentano chiamati un causa? Possibile che il Pd, la maggiore forza della sinistra, non si senta toccata da queste parole? Abbiamo capito che Conte era una scusa per coprire alcune decisioni prese in autonomia. Ma le parole del Papa non posso cadere così nel vuoto.
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