Questa edizione della festa di Fratelli d’Italia, Atreju, si intitola “Bentornato orgoglio italiano” e celebra un anno di governo della destra. Partecipano sessanta ospiti divisi in diciotto panel, dalle sale minori a quella più grande, una tensostruttura che contiene quattrocento persone. L’atmosfera è festosa, gli stand animati dai volontari con la maglietta blu e un sorriso aperto. Facile, in questo clima, lasciarsi andare a qualche scivolone. Come quello che ha riguardato il direttore degli Approfondimenti Rai: “Come sta il nostro partito?”. “Anche io sono stato un militante”: queste due frasi di Paolo Corsini pronunciate durante un panel ad Atreju – mentre moderava l’incontro che ha aperto la festa di FdI a Roma – hanno scatenato le polemiche sul dirigente di viale Mazzini.

Il giornalista ha usato più volte il termine “noi” riferendosi al partito della premier Meloni. Poi c’è stato un passaggio dedicato al forfait della Schlein che ha scatenato la reazione del Pd e dei suoi politici di appartenenza. Corsini ha ricordato come negli anni ad Atreju siano intervenuti Bertinotti, Veltroni, D’Alema, Conte mentre quest’anno qualcuno non c’è (ogni riferimento alla Schlein non è stato casuale), forse perché “nell’era dei social è più facile prendere like o perché hanno preferito occuparsi di come vestirsi e di che colori utilizzare piuttosto che confrontarsi”. Lui si è scusato per le parole inopportune, il Pd ha rincarato la dose chiedendone la testa. La Presidente Rai, Marinella Soldi, gli ha ricordato il dovere di rimanere super partes e il filmato del dibattito è stato acquisito dalla vigilanza Rai per le valutazioni del caso. Rimane l’assenza di Elly Schlein, sostituita ironicamente con un cartonato che anima i viali di Castel Sant’Angelo.

La decisione di non partecipare ha colpito anche i giornalisti: alla kermesse partecipano ospiti invitati per la loro diversa posizione, non ci sarebbe stato niente di male. Anzi, sarebbe stata una bella occasione di confronto. Il tema delle riforme, il premierato, è stato al centro di un confronto tra Luciano Violante, il presidente del Senato Ignazio La Russa e la ministra per le Riforme, Elisabetta Casellati. “All’elezione diretta del presidente del Consiglio bisogna accoppiare le preferenze. Il modo giusto di eleggere deputati e senatori, in collegi non eccessivamente piccoli, sia quello di consentire ai cittadini di scegliere il presidente del Consiglio, il partito, e i propri rappresentanti”, ha detto La Russa. Poi è stata la volta della Giustizia. La grande incompiuta di questo primo anno di governo Meloni.

Sul palco salgono il direttore di AdnKronos, Davide Desario; il ministro della Giustizia, Carlo Nordio; il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro; la senatrice leghista Giulia Bongiorno; il presidente della commissione Giustizia alla Camera, Ciro Maschio. E con loro sale sul palco Matteo Renzi. “A 30 anni da Mani Pulite bisogna finalmente riconoscere che non c’è garantismo da una parte e giustizialismo dall’altra, non sono sullo stesso piano. Il garantismo è un principio costituzionale, il giustizialismo no. Chi non è garantista tradisce i principi costituzionali”. E poi, guardando in faccia il ministro Nordio, un “galantuomo”: “Dico agli amici della maggioranza, abbiate il coraggio di fare una riforma della giustizia vera, per ora non avete messo il ministro Nordio in grado di farla”. Prosegue Renzi: Il problema “non è la divisione fra chi difende o meno i delinquenti” ma “quella fra chi crede nel garantismo e chi non ci crede: io vi auguro di farcela a fare delle Riforme e lo dico con dolore che fino ad ora non avete fatto niente”. Terminando il suo appassionato intervento su note di principio: “Garantismo e giustizialismo non sono equiparabili. Sono i due opposti. Come dittatura e democrazia. Se qualche magistrato decide di fare indagini di natura politica, tradisce la sua missione”.

Ieri è stata anche la giornata della ministra della Famiglia, Eugenia Roccella, con Ivan Scalfarotto di Italia Viva e Anna Paola Concia. Scesi loro, sale sul palco il titolare della Cultura, Gennaro Sangiuliano.
“Vogliono negare la dialettica, vogliono affermare un pensiero unico, vogliono imporre la dittatura del politicamente corretto. In Italia, molto spesso, il partito più forte è il Pudpc: il Partito unico del Politicamente Corretto, che vuole imporre visioni preconcette che non sono assolutamente sottoposte a un vaglio critico e libero”, ha detto Sangiuliano dal palco di Atreju. Gli argomenti sono tantissimi. Si parla di Antimafia con il parroco di Caivano Maurizio Patriciello, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, il Ministro Giuseppe Valditara e il Presidente della Commissione parlamentare Chiara Colosimo.

E del tema della filiera agroalimentare con i ministri Francesco Lollobrigida e Orazio Schillaci e quello dell’autonomia con i governatori Acquaroli, Giani, Marsilio, Occhiuto, Rocca e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri insieme al Ministro Roberto Calderoli. E poi, sulle sfide del Pnrr Giovanni Tria con il Ministro Giancarlo Giorgetti; sui cambiamenti climatici Angelo Bonelli e Michele Emiliano con i ministri Nello Musumeci ed Antonio Pichetto Fratin; sul “Made in Italy” Carlo Calenda con il Ministro Adolfo Urso; su famiglia e crescita demografica Anna Paola Concia con il Ministro Eugenia Roccella; sul lavoro Carlo Cottarelli e Cesare Damiano con il Ministro Marina Elvira Calderone. Non mancano già le polemiche per gli ospiti internazionali: dalla patata bollente dei Centri per i migranti in Albania dovrà districarsi il premier albanese, Edi Rama. E poi ci sarà il contestato leader di Vox Santiago Abascal e i vicepresidenti del partito, Jorge Buxadé e Radosław Fogiel. Atreju sarà conclusa, come da tradizione, da Giorgia Meloni: il suo intervento è previsto domenica alle ore 12. Un appuntamento che sarà preceduto, alle ore 11, dalla partecipazione dei vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. Ma oggi arriva Elon Musk: l’imprenditore più visionario e imprevedibile del mondo parlerà oggi alle 12,45. Alle 14 Rishi Sunak, primo ministro del Regno Unito. Doveva essere Orgoglio italiano, finirà con l’inglese sparato da tutti i megafoni.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.