La biodiversità in ambito bancario può rappresentare un valore aggiunto per l’intero sistema creditizio? La risposta è in un recente articolo di Marco Onado sul Sole 24 Ore. Il professore, uno dei maggiori esperti di diritto bancario, ci spiega che negli Stati Uniti, la presenza di numerose community banks, accanto ad alcuni grandi gruppi finanziari, produce una performance media decisamente positiva sia delle prime che dei secondi. Tanto per citare alcuni risultati, nel 2020, il rendimento dell’attivo (Return On Assets) del sistema bancario americano è stato cinque volte superiore a quello europeo.

Inoltre, sempre negli Stati Uniti, durante la pandemia, due terzi delle richieste del programma di sostegno dell’occupazione nelle Pmi è stato trattato dalle community banks a fronte di una quota di mercato degli impieghi del 15% e gli istituti locali si sono dimostrati fondamentali nel sostenere famiglie e imprese in epoca covid. Sono risultati raggiunti proprio grazie a un avanzato equilibrio fra banche locali, nazionali e internazionali. Un equilibrio che ha reso possibile una vivacità e una efficienza accresciute nel corso della pandemia grazie alla capacità delle banche locali di essere vicine, anche fisicamente durante il lockdown, alle famiglie e alle imprese. Così, negli Stati Uniti, la Fed e il Fdic, l’Ente Federale di assicurazione dei depositi, ritenendo fondamentale un sistema creditizio nel quale coesistano alcune banche di grandi dimensioni e numerose banche di piccole dimensioni, si sono preoccupate di non creare costi regolamentari eccessivi per queste ultime e di salvaguardare la biodiversità del sistema.

E in Europa? Lo stesso non avviene in Europa dove soltanto la Germania ha dimostrato la stessa attenzione per le banche territoriali (le proprie!) facendo prevalere gli interessi nazionali sulla politica bancaria europea della Bce. Politica che, al contrario, ha influenzato la composizione del sistema di alcuni paesi dell’Unione (tra cui l’Italia) e penalizzato le banche più piccole che hanno così risentito di costi regolamentari frutto della tendenza verso una Unione bancaria rispondente più alle grandi banche e ai compromessi tra i singoli Stati che a una visione comune complessiva. Il sostegno della Germania al proprio sistema bancario comprende sia le grandi banche in difficoltà, che si sono illuse di poter competere con i grandi gruppi statunitensi, sia le numerose piccole banche (in Europa su quasi 1.500 banche con totale attivo sotto i 500 milioni di euro, gran parte si trovano in Germania), proprio per il ruolo importante e riconosciuto per l’economia dei singoli territori.

La mancanza di una visione comune europea che valorizzi il sistema bancario nel suo complesso, così come avviene negli Stati Uniti, e il prevalere degli interessi dei singoli Stati, continuano, dunque, a impedire una politica bancaria europea comune. Così, anche in ambito bancario, l’Europa non è in grado di proporre un disegno forte e coerente finalizzato a un sistema bancario efficiente e basato su un’armonica ripartizione delle funzioni tra banche di diverse dimensioni e strutture. La lezione americana e quella tedesca dimostrano allora che sarebbe utile per l’economia italiana, che si prendesse definitivamente atto che la biodiversità nel sistema bancario, intesa come presenza equilibrata di grandi gruppi e di banche del territorio, sia valorizzata e non penalizzata proprio alla luce di quanto accade in altri contesti creditizi evoluti con benefici evidenti per l’intera economia.

Una presa di coscienza del valore della biodiversità bancaria e degli effetti negativi che, al contrario, una omogenizzazione del sistema su pochi grandi gruppi può determinare a una intera economia, appare ancora più urgente per il nostro Paese dove il finanziamento bancario costituisce la fonte principale per le famiglie e per le aziende e dove la struttura produttiva è basata essenzialmente su piccole e medie imprese sparse sul territorio. L’omologazione del sistema creditizio nazionale è evidentemente controproducente per lo sviluppo del Paese, soprattutto in una fase in cui le ingenti risorse a disposizione che il Governo Draghi si appresta a utilizzare attraverso il Pnrr, richiedono una conoscenza approfondita dei diversi contesti territoriali e imprenditoriali nei quali i singoli progetti si svilupperanno.