I dati Inps sulle ore di cassa integrazione ordinaria erogate tra febbraio e luglio 2021 rivelano che la ripresa post-Covid stenta a decollare in Campania. Nella regione le ore erogate sono passate da 5.7 milioni a febbraio scorso a 12.6 milioni nel mese di giugno, per arrivare a 13.7 milioni in luglio. Dati opposti al trend della media nazionale che, nello stesso periodo ha registrato una riduzione del 60% delle ore erogate portandosi dai 225 milioni di febbraio agli 85 di luglio, con la Lombardia al primo posto tra le regioni virtuose con una riduzione delle ore da 140 a 40 milioni nello stesso periodo.

La crisi della Whirlpool è quindi solo la punta di un iceberg di un fenomeno molto più esteso che coinvolge l’intera economia meridionale. Il ritardo nella presentazione delle richieste di autorizzazione, ammesse in seguito a due sanatorie del 2020, attenua parzialmente la negatività del dato, ma rivela anche l’esistenza di fenomeni speculativi che evidenziano un suo improprio degli strumenti di protezione sociale. In questo contesto appaiono verificate le previsioni della Svimez che, nell’ultimo rapporto, evidenziava il rischio di default per le imprese del Mezzogiorno, in gran parte colpite dallo shock pandemico mentre non avevano ancora recuperato le difficoltà causate dalla crisi del 2008. Se questi dati negativi sull’occupazione si confermeranno nei prossimi mesi è chiaro che la ripresa post-pandemica accentuerà la differenziazione territoriale e imporrà al governo il tema della riduzione dei divari regionali in un contesto diverso dal quadro tradizionale dei rapporti Nord-Sud.

I fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza previsti per il Mezzogiorno, con il vincolo territoriale del 40% degli investimenti, devono essere utilizzati per un nuovo modello di sviluppo delle regioni meridionali. Le politiche di intervento hanno attribuito al Mezzogiorno un ruolo subalterno nell’ambito dell’economia nazionale, sia nella fase di industrializzazione, guidata dalle imprese pubbliche e dalla politica di incentivi riservata alle grandi imprese private, sia nella fase assistenziale, di cui il reddito di cittadinanza costituisce l’ultima manifestazione. Questo modello ha ormai esaurito la sua funzione storica nel contesto dell’economia europea caratterizzata dalla formazione di macroregioni.

Il destino delle regioni meridionali è oggi più legato alla Grecia e alla Spagna di quanto non lo sia alla Lombardia e al Veneto. Il divario, mai colmato e anzi accentuato in questi ultimi decenni, è ormai divenuto una frattura. Il Centro-Nord ormai è inserito nel nucleo più sviluppato dell’economia europea, è interessato a investire in aree che assicurano vantaggi di costo, quindi nei paesi dell’Est Europa o in Asia; il Mezzogiorno può essere utile al suo sviluppo solo come una grande area di consumo. Politiche quindi che tendono a rafforzare l’apparato produttivo del Centro-Nord sono destinate a essere poco efficaci per lo sviluppo delle regioni meridionali.

Del resto il Mezzogiorno unitario, in gran parte coincidente col vecchio Regno delle due Sicilie, non esiste più da tempo, ma la realtà meridionale è variegata e complessa e richiede interventi differenziati. La prospettiva dev’essere quella di collocare le aree potenzialmente più suscettibili di crescita, concentrate prevalentemente in Campania e in Puglia, nel quadro dell’economia europea. I progetti di investimento previsti dal Recovery Plan devono guardare alla futura e possibile collocazione europea delle regioni meridionali: il nuovo modello di sviluppo delle regioni meridionali passa sempre meno per Milano e sempre di più per Bruxelles.