La Commissione europea ha versato i primi 24,9 miliardi assegnati all’Italia da Bruxelles. Certamente una buona notizia, l’unica ombra è che non è del tutto chiaro come saranno spesi questi fondi, quali sono le priorità individuate e se esiste una programmazione territoriale degli investimenti. Il buon senso ci suggerisce che bisognerebbe partire dalle città, poiché non esiste una ricostruzione e una rinascita che non abbia come priorità la ristrutturazione urbanistica come segno di un nuovo inizio.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) fornisce alcune indicazioni generiche e, in particolare, stabilisce che linee di intervento saranno dedicate a piani di investimenti per la rigenerazione urbana, in Comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti, «al fine di ridurre le situazioni di emarginazione e degrado sociale nonché di migliorare la qualità del decoro urbano oltre che del contesto sociale e ambientale». A questo scopo è destinato uno specifico Piano integrato urbano finanziato con un fondo tematico da costituire nell’ambito dei fondi gestiti dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) per attrarre finanziamenti privati nei progetti di risanamento urbano e per promuovere lo sviluppo e l’attuazione di investimenti urbani a lungo termine.

Alle nuove amministrazioni comunali delle grandi città che usciranno dal voto di ottobre spetterà il compito di realizzare questi obiettivi. Tuttavia c’è un clima di apatia progettuale e di indifferenza generalizzata sul tema della rinascita urbana. Manca del tutto un confronto su questi temi e non è solo colpa dell’estate afosa. La campagna elettorale napoletana non sfugge a questo clima. Dopo dieci anni di disastro urbanistico, in cui non c’è stata una idea di sviluppo ma solo interventi particolari, spesso del tutto incoerenti, è assolutamente necessario riprendere una seria progettualità per disegnare davvero la nuova Napoli del futuro. Ma ciò che colpisce non è solo l’assenza di una visione tra i politici chiamati a formare la nuova classe dirigente, ma anche nella stessa società civile e nei ceti intellettuali, in primo luogo gli urbanisti, un tempo attenti “consiglieri del principe”. Si assiste così al paradosso di avere fondi a sufficienza, inimmaginabili fino a un anno fa, ma di non avere idee.

Eppure Napoli ha sempre segnato le sue svolte politiche e civili con grandi progetti di rinnovamento urbanistico: così fu all’inizio della dominazione spagnola, con il viceré Toledo, poi con il regno di Carlo di Borbone, con quello di Murat, con quello unitario e con la grande stagione del Risanamento seguita all’epidemia di colera del 1883, fino aggiungere al progetto di Napoli porta dell’effimero impero d’oltremare nel periodo fascista, alle più recenti ristrutturazioni seguite al terremoto del 1980 e alla prima amministrazione Bassolino.

La storia urbanistica di Napoli è stata tormentata da speculazioni di ogni genere. Ciò rende ora ancora più necessaria una seria programmazione urbanistica che disegni la Napoli del futuro come è accaduto per Barcellona e Berlino, trasformate in grandi capitali europee grazie a progetti dibattuti e condivisi. In quest’ultimo decennio il divario Nord-Sud è stato accentuato dall’evoluzione urbanistica di Milano, con le sue nuove aree residenziali innovative, contrapposta alla decadenza di Napoli, in cui lo squallore delle periferie è giunto fino al centro delle città. I fondi europei ci offrono ora un’opportunità. Dobbiamo coglierla definendo progetti, chiamando a raccolta gli urbanisti e alimentando un grande dibattito pubblico. Ecco il compito che i candidati sindaci dovrebbero assumere come priorità.