Caro Direttore,

Il dibattito promosso in questi giorni dai socialisti in occasione dei 25 anni dalla morte di Bettino Craxi è senz’altro di grande interesse per chi ha in animo una prospettiva riformista. Indubbiamente, per la realizzazione di una futura alleanza organica di centrosinistra fa da spartiacque un più attento giudizio storico su Craxi, una più esplicita presa di distanza dalla stagione di “Mani Pulite” e la chiusura definitiva con l’istanza giustizialista da parte di quanti hanno ritenuto (e ritengono) che la strada giudiziaria costituisca il percorso privilegiato per sconfiggere gli avversari.

Riformismo e socialismo

Ribadire ancora che non si può essere riformisti e giustizialisti insieme, perché di fatto una prospettiva mette in ombra l’altra, non è tempo perso. Così come occorre ricordare che il riformismo oggi non può essere antisocialista; non può non avvalersi del contributo storico dell’esperienza socialista comunque declinata in Italia e in Europa, delle sue aspirazioni e obiettivi di avanzamento sociale e dei possibili concreti progetti di ammodernamento delle nostre società. Ma si può ancora essere riformisti solo nella prospettiva del socialismo storico? È su questo che il dibattito è sfuggente.

L’Unità socialista

Provo a spiegarmi meglio. È sicuro che Craxi fu maldestramente fatto fuori da un manipolo di magistrati. Ma dal punto di vista politico, ancor più che elettorale, il suo “corso” non era già entrato in crisi con la caduta del Muro di Berlino? Evento all’indomani del quale Craxi propose ancora una volta la sua prospettiva di “unità socialista”, non comprendendo che la caduta del Muro segnava – insieme al collasso interno dell’esperienza del comunismo storico – anche la nobile esperienza del socialismo europeo. Infatti il 1989 era il risultato di un’irreversibile globalizzazione mondiale dell’economia, della tecnica, delle aspirazioni al progresso che metteva in gioco nuove aree geografiche, nuovi competitori statuali. Questa nuova epoca buttava giù, con il Muro, il comunismo storico e metteva un’ipoteca anche sulla stessa esperienza del socialismo democratico europeo.

Il sistema non più sostenibile

Esperienza cresciuta, dal secondo Dopoguerra, sulla base del modello politico dello Stato sociale con la ripartizione equa delle risorse accumulate nei singoli Stati. Un modello – ed è questo il punto critico – che continuava a capitalizzare quanto il vecchio colonialismo aveva lasciato alle popolazioni europee, sue eredi. Alle soglie del XXI secolo questo sistema non era più sostenibile. Il socialismo era e resta l’ideologia imprescindibile che pone il problema di un’ampia redistribuzione e socializzazione delle risorse. Ma senza risorse disponibili rischia di collocarsi al fianco di altre ideologie nostalgiche e passatiste. Per ridistribuire occorre produrre ricchezza, servono politiche adeguate aperte ad altre fonti, anche di teoria politica. Dopo il 1989, il riformismo non si può più considerare solo socialista.

Ernesto Mostardi

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