Ieri per la seconda volta nella loro vita il presidente americano e quello cinese si sono incontrati personalmente stringendosi le mani a San Francisco dove Xi Jinping è arrivato martedì sera. Si tratta del vertice di maggior livello tra potenze che condividono il massimo potere economico e militare nel mondo. Per Xi Jinping si tratta del secondo viaggio americano: il primo avvenne sotto la presidenza di Donald Trump che lo ebbe ospite nel suo paradiso golfistico di “Mar A Lago” in Florida e in sua presenza dette ordine di lanciare una selva di missili su un’area siriana controllata dagli Stati Uniti, senza causare neppure un morto. Xi Jinping non fece una piega né un commento, allora, Trump si vantò di aver addomesticato il drago cinese, peccando di ottimismo.

Ora il presidente cinese è nella ventosa San Francisco davanti a un interlocutore come Biden, così diverso da Donald Trump: Biden sta disperatamente cercando di raffreddare lo stato tumultuoso e insurrezionale degli americani di origine araba e asiatica causato dalla politica presidenziale di sostegno a Israele: un malessere di dimensioni finora sconosciute e che potrebbe costargli la rielezione di qui a un anno.
Quanto a Xi Jinping, lontano dai riflettori dei media occidentali combatte una guerra spietata contro metà del partito comunista schierato contro di lui, circostanza cui cerca di reagire con continue purghe di comandanti e amministratori locali. Ma la minaccia che incombe è quella delle frequenti rivolte delle minoranze etniche con il sostegno degli strati più poveri. Xi Jinping, d’altra parte, sa che Joe Biden è al corrente della sua debolezza così come Joe sa che Xi Jinping è al corrente della sua. Di fronte a un elettorato che lo deride per le sue fragilità fisiche, minacciato da Trump a destra, e dal malumore della sinistra, appare una inquietante simmetria su cui si fonda l’aspettativa e la speranza di una intesa che giova ad entrambi.

Formalmente, i due presidenti rinunciano a trattare delle tre zone di guerra (Ucraina, Palestina e Taiwan) e fanno preparare una lista di temi importanti ma non troppo controversi che vanno dal riscaldamento globale alle emissioni di metano e di combustione del carbone. I punti di frizione ai limiti del confronto armato riguardano sia l’invasione russa dell’ucraina con l’osceno attacco di Hamas e la sanguinosa invasione israeliana di Gaza che inquieta l’opinione pubblica e i quadri dell’amministrazione americana, sia il ribollente mare del Sud della Cina con la contesa isola di Taiwan che è formalmente cinese ma di fatto indipendente, democratica e occidentalizzante, nonché ricchissima di terre rare indispensabili per la tecnologia del futuro. Si tratta di tutti temi caldi e caldissimi, cui si aggiunge la grave crisi economica della Cina con la conseguente crisi del mercato edilizio non soltanto cinese ma mondiale.

Poiché non sarebbe stato corretto nei confronti dei rispettivi Paesi alleati un vertice a due fra i superpoteri sovrani escludendo da una parte la Russia e dall’altra l’Europa, dopo un frenetico lavoro diplomatico Washington e Pechino si sono accordate per far apparire l’incontro dei due massimi leader mondiali a San Francisco come un vertice ecologico: “Parleremo di riscaldamento, energia, eliminazione graduale del carbone, tutti argomenti importantissimi”, hanno concordato le rispettive diplomazie per alleggerire sia le aspettative che le la temperatura delle gelosie nei due campi, ma sul tavolo i veri dossier saranno l’Ucraina, il Medio Oriente e di Taiwan che interessa all’America molto più dell’Ucraina e del Medio Oriente, perché quello è il punto caldo della tensione militare cino-americana, avendo Xi Jinping costruito una forza navale e aerea capace di competere con quella americana, anche se alla Cina mancano i porti e le basi navali.

Biden sa e anche Xi, che o si trova il modo di disinnescare quella tensione senza che nessuno perda la faccia, oppure si andrà prima o poi a un confronto militare di proporzioni incalcolabili.
Entrambi i presidenti hanno i loro guai in casa propria, circostanza che ha reso possibile il terreno di una intesa: entrambi temono di perdere il potere, entrambi hanno nella loro patria una società divisa e venata di sintomi di insurrezione, motivi sufficienti per tentare di ottenere un risultato con cui reggersi a vicenda ciascuno col proprio apparato ideologico e propagandistico, ma in sostanza per un possibile comune risultato. Questo scenario è reso possibile dal fatto che la Cina – pur essendo a parole alleata sostenitrice della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina – si è ben guardata dal fornire all’Armata russa armi e munizioni che avrebbero potuto consentire a Mosca una rapida vittoria in Ucraina. Putin ha dovuto far ricorso alla Corea del Nord per ottenere munizioni di artiglieria che la Cina gli ha negato. Xi Jinping inoltre rifiuta l’uso della minaccia nucleare, distinguendosi da Putin che ha già fatto installare in Bielorussia rampe nucleari pronte al lancio sull’Ucraina.

Gli Stati Uniti sono profondamente divisi per la guerra tra Israele i paesi arabi. E la Cina è divisa al suo interno e poco soddisfatta della sua alleanza con la Russia che si comporta in modo inaffidabile.
I vertici politici americani, dalla Casa Bianca al Dipartimento di Stato, non sono disposti a rinunciare al punto fondamentale della valutazione della guerra di Gaza su cui i cinesi invece sono in disaccordo: è cioè che Hamas ha pianificato la strage degli orrori del 7 ottobre per imporre ad Israele una reazione sufficientemente violenta da ricompattare delle opinioni pubbliche antioccidentali più che a far saltare l’accordo del patto di Abramo che avrebbe generato un’alleanza economica tra Arabia Saudita ed Israele in grado di soddisfare tutte le necessità e il benessere del Medio Oriente alleato con l’America. Il piano politico di Hamas ha avuto cinicamente successo: la barbarie del sette ottobre ha spinto il governo e l’opinione pubblica di quel paese a scatenare un’offensiva che non si poteva evitare, cosa a cui si aggiunge la crisi degli ostaggi cui Biden vuole dare una soluzione personale e con effetto politico sul suo elettorato. Sapremo presto se e quali risultati saranno raggiunti dal minivertice dei due grandi della Terra di questo morente 2023.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.