La cronaca parla di un maxi-blitz di carabinieri e Dda al Parco Verde di Caivano, un rione che come tanti dell’hinterland napoletano ciclicamente diventa teatro di violenze e brutalità, malaffare e degrado. Nelle ultime indagini si parla di basi di spaccio sparse in ogni dove in quel quartiere dove la storia della piccola Fortuna ci aveva fatto già scoprire l’orrore degli abusi e il peso dell’omertà. I 49 arrestati sono a vario titolo accusati di aver venduto stupefacenti, sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, guadagnando anche 130mila euro al mese e blindando palazzi e strade con porte blindate, cancelli e paletti, come a creare una città nella città e dare al proprio potere criminale una forma visibile a tutti. Chi dei condomini osava lamentarsi avrebbe rischiato di finire addirittura sciolto nell’acido. Una scuola media sarebbe diventata per alcuni giorni la base per gli appostamenti, con tanto di kalashnikov, in attesa dell’avversario da uccidere.
Insomma, i dettagli dell’inchiesta rivelano la portata criminale dei clan e il modo con cui controllano non solo i traffici illeciti ma la vita di chi vive in quelle periferie. E il fatto che siano dettagli che ciclicamente si ripresentano oggi al Parco Verde, ma periodicamente anche a Forcella o al Vomero, nella periferia come nel centro di Napoli, indica chiaramente che la repressione, da sola, non basta. «C’è un denominatore comune – spiega la professoressa Maria Laura Cunzio, docente di Criminologia all’università Suor Orsola Benincasa – ed è l’assenza di una visione politica che miri alla riqualificazione di queste aree, a un investimento di capitale non solo economico ma anche urbano, morale, etico». Sulle politiche di riqualificazione urbana e sociale si sono fatti troppi interventi-spot e poca pianificazione?
«Tutto il percorso della riqualificazione sociale è affidato ad associazioni e volontari, ma non basta. Occorrerebbe un piano di investimenti, per esempio nel settore delle politiche sociali e giovanili – sottolinea la docente – Ma non denaro a pioggia, senza criterio. Nei Paesi dove si fa veramente prevenzione, e penso al Nord Europa, la prevenzione si monitora, si realizzano programmi rispetto ai quali si fa un percorso di controllo e monitoraggio, per cui se un ente mette denaro in un progetto è poi attento e puntuale nel verificare, nel corso del tempo, che il progetto funzioni». «Non serve investire denaro senza una chiara finalità, senza un piano e senza controllare che le attività poste in essere abbiano realmente efficacia producendo dei successi», spiega la professoressa Cunzio, ricordando alcuni progetti virtuosi finanziati da enti locali a Napoli e poi interrotti. «C’è un vuoto – aggiunge – e il problema è che non c’è solo un vuoto economico, ma anche culturale e politico. Perché non c’è confronto tra le istituzioni, non c’è dialogo tra le Asl, il mondo della scuola, il mondo dei servizi, l’associazionismo. Ognuno opera per proprio conto e quel poco di sinergia che c’è è sempre affidato alla volontà e all’iniziativa del singolo che fa rete e crea rapporti, ma non è mai un’opzione strutturata». L’idea è una rete efficace fra istituzioni, terzo settore e privati.
La repressione, si diceva, da sola non basta. «Il problema della repressione è che fa soltanto spostare un certo tipo di attività da un luogo a un altro, non estirpa la radice del problema che è economica e socio-culturale», dice la docente evidenziando le nuove preoccupazioni per gli effetti sul tessuto sociale e culturale del territorio dopo la pandemia e i lockdown. C’è una soluzione? «Guardando anche agli esempi che in Europa hanno funzionato, bisogna spostare realtà belle e culturalmente interessanti lì dove ci sono sistema camorristico e degrado. Occorre innestare cultura, socialità e tradizione dove c’è solo delinquenza. Altrove ha funzionato bene». Da noi manca una progettualità. «Le pratiche di riqualificazione e prevenzione devono poggiare su politiche e teorie, non possono essere causali – conclude Cunzio – Da anni invece non c’è un progetto, non c’è un piano, e si continua a produrre crescita senza sviluppo».
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