Rinviate (ancora) le norme sull’immigrazione caldeggiate dalla Lega
Buffetto di Meloni a Salvini sul decreto immigrazione, poi bonus luce e benzina per mascherare il flop del decreto trasparenza
Non ce la fa. E più forte di lei. Se la sera prima abbraccia Macron, la mattina dopo deve alzare un muro con Scholz. Non ce la fa Giorgia Meloni a tenere insieme l’Italia con Francia e Germania e gli altri paesi vicini. Sempre più “facile”, verrebbe da dire “naturale” dividere anziché unire le forze nella comune lotta all’immigrazione illegale.
Il Consiglio dei ministri di ieri ha mandato avanti il Decreto energia: bonus luce e bonus benzina per i redditi più bassi (fino a 25 mila ero) a dimostrazione che anche il decreto Trasparenza di gennaio scorso è stato un flop e non ha saputo calmierare i prezzi del carburante alla pompa di benzina. Gli otto articoli del decreto prevedono un miliardo e 300 a sostegno delle famiglie. Il governo è riuscito ad infilare anche questa volta un bel condono, lo chiamano “ravvedimento operoso per regolarizzare fatture, scontrini e ricevute fiscali entro il 30 giugno”. “Perché noi aiutiamo le piccole medie imprese e le Partite Iva più svantaggiate” è la spiegazione ufficiale.
Saltate e rinviate anche questa volta le annunciate, fin dall’estate, norme sull’immigrazione con focus sui minori caldeggiate dalla Lega. Ennesimo buffetto della premier all’agitato alleato leghista sempre pronto ad alzare l’asticella mettendo sul tavolo misure problematiche, poco risolutive ma ad alto tasso di consenso? In compenso Giorgia Meloni, che ha ammesso come il dossier immigrazione “non abbia dato i risultati sperati, ma ci stiamo lavorando”, non riesce ad uscire dalla modalità divisiva nell’approcciare il problema. Così domenica sera ha elogiato il presidente francese Emmanuel Macron che sul tema dei migranti ha ammesso come non sia “possibile avere una risposta franco-francese. Dobbiamo fare la nostra parte di europei e non lasciare gli italiani da soli”. Uno spiraglio per l’Italia sempre più isolata in queste ultime due settimane. Una marcia indietro rispetto alle frontiere sorvegliate con droni e mezzi militari pronte a riportare in Italia i clandestini lungo il confine. Meloni ha colto al volo lo spiraglio e l’ha fatto suo. A modo suo: “Accolgo con grande interesse la proposta di collaborazione del presidente Macron nel contrasto all’immigrazione illegale. È evidente che Italia, Francia e Ue debbano agire insieme per sostenere gli Stati di origine dei flussi e quelli di transito”. Parole sagge. Finalmente. La svolta di Macron nasce probabilmente più grazie alla visita di Papa Francesco a Marsiglia e al suo appello “basta gridare all’emergenza, dovete accogliere e integrare, il mondo si muove”. Meloni la attribuisce a sé stessa, alla sua postura, all’eco del Piano Mattei, all’appello alla responsabilità di tutti nell’intervento davanti all’assemblea delle Nazioni Unite. Facciamo che abbiano peso l’una e l’altra.
E però passano poche ore e la stessa Meloni scrive al cancelliere Scholz. Usando toni ben diversi: “Ho appreso con stupore che il Tuo governo – in modo non coordinato con il governo italiano – avrebbe deciso di sostenere con fondi rilevanti ong impegnate nell’accoglienza ai migranti irregolari sul territorio italiano e in salvataggi nel Mare Mediterraneo. Entrambe le possibilità suscitano interrogativi”.
Lo aveva già denunciato il ministro Guido Crosetto. Senza dubbio c’è un fondo di verità in questa denuncia. I soldi tedeschi potrebbero avere diversa destinazione. Meloni però, e anche Crosetto, dimenticano sempre che solo il 5% degli sbarchi avviene grazie alle ong. Non sono loro dunque il problema. Piuttosto, Meloni dovrebbe chiedere al suo ministro Nordio di tirare fuori una sua vecchia proposta: se le navi tedesche salvano in mare i migranti, poiché le navi sono territorio tedesco, su quelle navi, luogo di primo sbarco, dovrebbe scattare l’obbligo di Dublino.
Nel frattempo il fronte degli amministratori contrari ai Cpr potenziati (fino a 300 posti) e “almeno in ogni regione” si allarga, da destra a sinistra passando per il centro. Non può essere questa la soluzione – dicono – visto che non ci sono garanzie sui rimpatri. Nel frattempo, Bruxelles rovescia acqua gelata su quella improbabile somma di 5mila euro che un richiedente asilo può versare a garanzia per evitare il Cpr. È vero che qualcosa di simile è previsto da una direttiva Ue del 2013, “ma le misure alternative alla detenzione – precisa Bruxelles – devono superare la verifica di proporzionalità”. Tradotto: impossibile chiedere ad un naufrago la garanzia bancaria. Fa ridere. O piangere. Non a caso in dieci anni nessun ministro l’ha prevista.
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