L'inchiesta sul dossieraggio
Cafiero De Raho e l’Antimafia, il doppiopesismo dei sacerdoti della moralità: il conflitto d’interessi che i 5 Stelle ignorano
Il deputato partecipa alle sedute della commissione ma i grillini preferiscono rifugiarsi nel silenzio
L’inchiesta di questi giorni sul dossieraggio impone una approfondita valutazione, a partire dall’editoriale di martedì del direttore del Riformista. Partiamo dai fatti: la Procura di Perugia ha scoperchiato una falla allarmante all’interno della Dna. Un tenente della finanza, Pasquale Striano, sembra utilizzasse una sorta di bancomat per prelevare informazioni riservate, utili a fabbricare dossier. Spesso lavorava agli ordini del Pm Laudati. Il quale Laudati ha dichiarato di aver concordato tutti gli atti con l’allora Procuratore nazionale anti mafia Cafiero De Raho. Basterebbe fermarsi a questo primo quadro, per porsi degli interrogativi. A cosa servivano le notizie riservate apparecchiate da Striano? A quale reale regia rispondevano? Da questo punto di vista, l’inchiesta in corso sul dossieraggio fotografa alla perfezione un antico cortocircuito italiano tra certi magistrati e certi finanzieri o carabinieri infedeli, certa carta stampata, certi partiti politici, quelli che poi guarda caso portano certi procuratori in Parlamento. Voglio dire che ci sono tutti gli elementi “storici” che ci portano da anni a denunciare il cattivo funzionamento della macchina giudiziaria.
Per tornare a Perugia, a questa fosca vicenda, ad un certo punto compare anche Cafiero De Raho, nella sua doppia versione, di Procuratore nazionale antimafia (e proprio nel periodo di tempo in cui viene messo a regime il famigerato “bancomat”), e di deputato del M5S, ed in quanto tale eletto come vicepresidente della Commissione Antimafia, ovvero, esattamente il luogo politico in cui in queste settimane vengono auditi protagonisti e testimoni del dossieraggio. Io sono stato tra i primi parlamentari a fare appello a De Raho. “Sei un uomo dello Stato, hai sensibilità istituzionale, ti renderai perfettamente conto del conflitto di interessi che inevitabilmente crei in Antimafia”, il succo del mio ragionamento. E niente, De Raho non si astiene dal partecipare alle sedute, ed il suo partito, il M5S, i sacerdoti della moralità, sempre in campo per stanare conflitti di interessi spesso inesistenti, non glielo chiede.
Noi di Italia Viva conosciamo bene la macchina del fango, l’abbiamo subita per primi sul caso Consip e poi Unicef e poi Open, e poi e poi e poi, per dire che siamo motivati ad andare fino in fondo su tutte le partite aperte, che giacciono in Parlamento. Devo ammettere che siamo preoccupati, perché tra le altre cose, siamo costretti a segnalare la sparizione del Guardasigilli. Mi spiego meglio, nasce il governo Meloni, e salutiamo la presenza di un amico nell’esecutivo, Carlo Nordio come ministro della giustizia. E Carlo Nordio, nelle prime settimane, da vero garantista qual è, legge un programma sottoscrivibile ad occhi chiusi, e qui iniziano i problemi. Tutti i provvedimenti vengono annunciati, e poi misteriosamente entrano in un cono d’ombra. Soprattutto quello cardine, la separazione delle carriere, annunciato a più riprese dal 2023 ed ancora ieri, e mai arrivato in commissione.
Anche sul dossieraggio, Nordio ha una buona idea, propone l’istituzione di una commissione di inchiesta, d’intesa con il collega Crosetto, noi la rilanciamo, il ministro annuncia la sua presenza alla nostra Leopolda, e niente, la magia si ripete, il Guardasigilli scompare (lasciando sul palco fiorentino solo il giurista Cassese), e viene inghiottita anche la commissione di inchiesta. Perché succede tutto questo? Semplice da un bel po’ di tempo, Nordio è stato sostituito nelle sue funzioni da Giorgia Meloni, solo così si spiega un ministero diventato improvvisamente panpenalista (quanti nuovi reati sono nati in questa stagione), ed il famoso programma del guardasigilli si è trasformato in quello molto più banale di un qualsiasi giustizialista. Così, ironia della sorte, l’unica cosa che può andare a genio a noi garantisti, è proprio il trattamento riservato a Pasquale Striano, l’uomo del bancomat. Di lui non sappiamo quasi nulla, non gira una foto, non si conoscono i suoi amici, non ci sono telecamere sotto casa sua, in pratica quello che dovrebbe succedere sempre, in tutte le indagini. Ma sarà davvero così, o magari, il tenente gode, per così dire, di una protezione speciale?
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