Oggi in Commissione Giustizia della Camera riprende il dibattito su proposte di legge concernenti fatti di lieve entità legati al consumo di sostanze stupefacenti proibite. Tra i testi presentati, quello del radicale Riccardo Magi prevede, tra le altre cose, anche la depenalizzazione della coltivazione domestica di cannabis. Sulla carta i numeri per rivedere le pene per consumi minimi sembrerebbero favorevoli, come favorevole è il contesto internazionale. Non solo: nella patria del proibizionismo un terzo degli Stati ha legalizzato la marijuana, ma dal dicembre 2020 la pianta (anche medica) è stata cancellata dalla IV tabella delle sostanze che la Convenzione Onu del 1961 ritiene pericolose.

L’esempio degli USA e l’attenuata attenzione del controllo globale sulla cannabis dovrebbero incoraggiare quei parlamentari che, al momento delle decisioni, si fanno prendere dal timore di abbassare la guardia in tema di “salute” e “ordine” pubblico. Ai timorosi o timidi, ma anche ai contrari, occorre ricordare che se (anche) in Italia non s’è fatto alcun passo avanti per contenere il fenomeno è (anche) perché da 30 anni si persegue la via della penalizzazione piuttosto che quella della regolamentazione di produzione e consumo delle “droghe”.

Rispetto al passato ci sono novità importanti anche a livello nazionale: la Ministra Fabiana Dadone ha annunciato l’intenzione di organizzare finalmente la Conferenza Nazionale sulle Droghe e la Ministra Marta Cartabia ha parlato in termini netti di “proporzionalità della pena” e “carcere come extrema ratio”. Niente come la penalizzazione di comportamenti che nella stragrande maggioranza non causano vittima necessita d’una revisione delle sanzioni (penali e amministrative) e niente come un problema, anche di salute, di scelte personali consapevoli dovrebbe esser gestito fuori dalle mura carcerarie. Infine, niente come una conferenza sulle droghe convocata dopo 12 anni dovrebbe far tesoro del contributo di chi, in modo indipendente e disinteressato, critica leggi e politiche che hanno contribuito a cristallizzare il problema invece che governarlo.

La presenza delle sostanze proibite in Europa è stata presentata la settimana scorsa dall’Osservatorio sulle droghe e le dipendenze di Lisbona. Anche se i dati non sono omogenei e poco dettagliati, in nessuno dei capitoli della relazione c’è di che rallegrarsi. Aumentano i sequestri di cocaina, resina di cannabis ed eroina trasportate via mare e si rilevano ulteriori infiltrazioni di organizzazioni criminali nelle catene di approvvigionamento legittime e nelle rotte dei trasporti e nei grandi porti, in particolare quello di Gioia Tauro.

Le 181 tonnellate di cocaina sequestrate in 110mila operazioni in tutta Europa rappresentano un record assoluto. La purezza della sostanza è aumentata creando ulteriori problemi di dipendenza che però iniziano a esser al centro di ricorso ai servizi socio-sanitari. Quasi raddoppiati i sequestri di eroina (da 5,2 a 9,7 tonnellate), con segnalazioni, per la prima volta, di produzione continentale! L’accesso a terapie sostitutive per dipendenza da oppiacei resta limitato ad alcuni Paesi. Rispetto a 10 anni fa si conferma l’aumento della potenza di THC nella resina di cannabis, nelle sue foglie e nelle infiorescenze. Sempre più diffusi concentrati, cannabis commestibile e altri prodotti cannabinoidi.

Aumenta il numero di laboratori di produzione di un’ampia gamma di sostanze chimiche e sintetiche, in particolare pasticche ad alto contenuto di MDMA. Appaiono inoltre sostanze meno comuni come ketamina, GHB e LSD, ossido nitroso (gas esilarante) e nuove benzodiazepine. Infine, al ritmo di circa una alla settimana, sono state scoperte decine di nuove sostanze psicoattive. I dati relativi al 2017 e 2018 registrano un aumento di decessi per overdose, spesso da policonsumo, in particolare tra gli ultra 50enni. In tutta l’Unione Europea, che conta mezzo miliardo di persone, nel 2018 le morti sono state 8300, in Italia 334.

Il rapporto non prevede schede per Paese ma per quanto riguarda la cannabis in Italia si conferma che il 30% della popolazione (20 milioni di persone!) l’ha provata nell’arco della propria vita. Che ci sia qualcosa che non va è indubbio ma occorre un cambio controcorrente. Le proposte ci sono. I numeri, e forse i tempi, pure. Riuscirà la pragmaticità a prevalere su ideologia o tatticismi da “larghe intese”?