Ieri abbiamo rappresentato al neo ministro Giorgetti la vertenza Whirlpool di Napoli. La mancanza di risposte circa il futuro dello stabilimento di Napoli, sia da parte di Whirlpool Italia che da parte della politica, ha aggravato le prospettive occupazionali dei 350 dipendenti partenopei. Una situazione grave, che si somma alla grande incertezza e instabilità che il riaccendersi della pandemia ha diffuso, che mina la tenuta oltre che economica, anche sociale di un territorio complicato come quello partenopeo e del Mezzogiorno in genere, duramente colpito dalla crisi.

Ogni posto di lavoro legale in questi territori è un presidio di legalità che sottrae manodopera alla malavita organizzata. Per questo la scelta di Whirlpool di chiudere il sito di Napoli è estremamente grave. Abbiamo evidenziato al ministro che questo drammatico risvolto sociale si somma anche alla pesante inadempienza della multinazionale americana rispetto agli accordi firmati con l’organizzazione sindacale e il Mise nel 2015 e 2018 dove si impegnava a investire nei 7 stabilimenti italiani 800 milioni di euro e la garanzia del mantenimento occupazionale. Dal giugno 2019 a oggi abbiamo assistito al continuo rimpallo di responsabilità la Politica e l’azienda, che ha sprecato tempo prezioso per sviluppare in sinergia progetti per la reindustrializzazione del sito attraverso azioni possibili come ad esempio sull’elettrodomestico smart, collegato alla rete aggiornabile e programmabile, tecnologica e sostenibile (attraverso l’uso di materiali certificati che possano rientrare nella filiera produttiva del riciclo) e quello sul design, dove l’Italia è tra i migliori paesi al mondo. Settore che può garantire marginalità e occupazione qualificata.

Whirlpool ha allo stato attuale 4500 dipendenti in Italia e 6/7 stabilimenti produttivi e nel nostro paese produce tutta la cosiddetta gamma del bianco, che va dalle lavatrici alle lavastoviglie. Il gruppo nel 2020 ha avuto ottimi risultati nelle vendite e nella performance reddituali, anche grazie agli accordi sottoscritti con Fim, Fiom e Uilm e il Mise. In alcuni stabilimenti i piani d’investimento sono stati realizzati al 50/60% senza però coinvolgere in minima parte il sito di Napoli. In questi due anni la politica tutta ha rassicurato che da Napoli la Whirlpool non sarebbe andata via. L’unica certezza che oggi abbiamo è che al 31 ottobre 2020 l’azienda ha confermato l’intenzione di chiudere la produzione e mettere tutti i 350 dipendenti in cassa integrazione Covid.

Ora siamo al paradosso, perché Whirlpool e tutte le aziende del settore sono in “overbooking” per l’esplosione degli acquisti online, ma la produzione è ferma perché mancano i pezzi di assemblaggio, in particolare le schede elettroniche che devono arrivare dalla Cina e l’acciaio che dovrebbe arrivare anche dall’Ilva di Taranto, ma lì si apre un’altra parentesi. Purtroppo il capodanno cinese ha fermato tutte le spedizioni di schede elettroniche. Ci aspettiamo che il Mise promuova azioni di sostegno a politiche di reshoring della componentistica che anche in molti altri settori della manifattura sta causando ritardi nella produzione per problemi di approvvigionamento.

Il nostro sistema manifatturiero ritornerebbe a essere così competitivo su tutta la catena della creazione del valore e il sito della Whirpool di Napoli si potrebbe candidare ad affiancare alla produzione di lavatrici anche quella di componentistica per gli elettrodomestici. Oggi le 350 persone non sanno cosa accadrà dopo la fine del blocco dei licenziamenti. L’iniziativa è stata importante per riportare sul tavolo del ministro Giorgetti la vertenza Whirlpool come priorità. A questo governo chiediamo di far rispettare gli accordi sottoscritti al Mise.