L'editoriale
Carlo Nordio, il guardasigilli contro le toghe politicizzate

Il ministro Carlo Nordio non è uno da resistenza sulla linea del Piave come Borrelli. Le sue parole sono più da carica dei bersaglieri, tromba nelle mani e avanti di corsa. Così è apparso ieri al Senato per quella che doveva essere non più di una annuale, noiosa e spesso ripetitiva relazione sull’amministrazione della giustizia. Ma che invece questa volta è cascata in mezzo a una chiamata alle armi da parte della magistratura militante, pronta allo sciopero contro la separazione delle carriere e a manifestazioni in bilico tra le provocazioni pannelliane d’un tempo e la chiamata alla rivolta sociale di piazza di Maurizio Landini.
Le ferite sono aperte
Il Guardasigilli non si sottrae. Ha fatto il compito e lo premiano i numeri sulla riduzione degli arretrati – sia nel settore civile che in quello penale – così come le assunzioni, il triplo di quanto ha saputo fare Alfonso Bonafede e il doppio di Marta Cartabia. Ma le ferite sono aperte, e lo spadone sguainato. Perché – nonostante il mondo liberale avrebbe preferito una riforma in cui la parte dell’accusa fosse svolta da un avvocato e non da un magistrato – per uno come Nordio è offensivo sospettare, come sta gridando a gran voce il sindacato delle toghe, che colui che quella stessa toga ha indossato per oltre 40 anni voglia un pm che risponde sul piano politico all’esecutivo.
Il pubblico ministero all’italiana
Nordio conosce bene questo alieno che è il pubblico ministero all’italiana. Alieno per l’intero mondo occidentale, negli ordinamenti variamente configurati. Ma in nessuno dei quali esiste un soggetto dell’accusa totalmente “irresponsabile” e con un potere immenso. Uno che dovrebbe attendere la notizia di reato e invece se la va a cercare attraverso, come ha detto più volte il Guardasigilli, il “fascicolo clonato”. È la filosofia su cui nel passato si esercitarono a lungo i magistrati di Md, quando nella corrente esistevano ancora i garantisti, del “tipo d’autore”. Negli anni delle inchieste di terrorismo, un esempio di questa politica giudiziaria fu Toni Negri, il “cattivo maestro” accusato addirittura di aver organizzato il rapimento di Aldo Moro, pur essendone totalmente estraneo e lontano anni luce dai veri esecutori delle Brigate Rosse. Più di recente avevamo visto il caso del sindaco di Parma, Pietro Vignali (proprio ieri premiato dal leader di Forza Italia Antonio Tajani, che lo ha inserito nella segreteria del partito) e poi il vero scandalo del governatore della Regione Liguria, Giovanni Toti.
Il meccanismo consiste nell’individuare una persona sospetta – quasi geneticamente – di essere portata a commettere una certa tipologia di reati, e poi di andare a cercarla. Con grande investimento di denaro e di intercettazioni. Il tutto accordato al pm dalla decisione, spesso passiva e subalterna, del giudice delle indagini preliminari. E voi mi dite – s’indigna Nordio nell’Aula del Senato – che noi abbiamo esercitato un’aggressione sulla magistratura! Sottinteso: siamo noi gli aggrediti. Ma noi riformiamo la giustizia, vostro malgrado. Forse un ripensamento sull’amnistia, anche piccola, da parte del ministro sarebbe utile nell’immediato. Sono già otto i suicidi nelle carceri dall’inizio dell’anno.
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