Il voto
Separazione delle carriere: l’Italia entra nel mondo della civiltà giuridica. Ma le toghe si preparano a manifestare
Arriva il primo via libera da Montecitorio: 174 sì e 92 no, Italia Viva si astiene. La strada per la riforma è in discesa

Sono le 13:25 quando scoppia l’applauso. Buona la prima. La separazione delle carriere tra i giudici e gli accusatori ha superato il primo step alla Camera dei deputati, con una maggioranza superiore a quella di governo: 174 sì, 92 no e 5 astenuti (Italia Viva ha espresso dissenso sul meccanismo del sorteggio per i rappresentanti laici). La strada per la riforma, che finalmente porterà l’Italia nel mondo della civiltà giuridica dell’Occidente, è ormai tutta in discesa.
La giornata storica
Giornata storica, epocale, sicuramente simbolica. Nel nome di Silvio Berlusconi, dicono in coro non solo gli esponenti di Forza Italia. Anche nel nome di Giuliano Vassalli, aggiunge Carlo Nordio, il vero trionfatore della giornata, ricordando il ministro socialista che nel 1989 portò in Italia il sistema accusatorio uscendo finalmente dai riti dell’Inquisizione. Una riforma che ai tempi rimase monca tanto che, nella stessa relazione che presentava la svolta storica, il nuovo sistema processuale veniva definito solo “tendenzialmente” accusatorio. Che cosa mancava infatti per perfezionare il nuovo processo che avrebbe allineato il nostro paese a tutti i sistemi sia di common law che di civil law del mondo occidentale? Proprio quella separazione tra la terzietà della funzione giudicante e la parzialità di quella requirente, che è finalmente approdata in Parlamento con la prima votazione positiva di ieri.
La destra unita
L’intero centrodestra è compatto fin dai tempi, due anni fa, in cui furono presentati i programmi elettorali dei diversi partiti. Il che non è da sottovalutare, dal momento che nella storia della coalizione costruita da Berlusconi ci sono stati momenti bui. Come quello in cui un deputato della Lega esibì un cappio in Aula, e lo stesso Carroccio – con una veloce giravolta – fece una sorta di disconoscimento di paternità sul decreto Biondi relativamente alla custodia cautelare, che era stato precedentemente firmato dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Non solo Umberto Bossi, ma anche Gianfranco Fini – sempre allineato con la magistratura – fu la vera zavorra politica di Berlusconi sulla giustizia in quegli anni di governo.
La scelta
I tempi cambiano e le persone anche. Sia Bossi che Fini, se fossero ancora in Parlamento, avrebbero votato a favore della separazione delle carriere. E il primo segnale dato da Giorgia Meloni nella formazione dell’esecutivo è stato la scelta di Carlo Nordio nel ruolo di Guardasigilli. La strada per la riforma si è aperta quel giorno. C’è stata nel contempo una vera mutazione genetica anche all’interno della sinistra, nel cui corpo – almeno fino agli anni Novanta – persisteva una larga parte di giuristi appassionati dello Stato di diritto e delle garanzie, ma ridotta oggi a mera ruota di scorta dell’Anm, il sindacato delle toghe.
Non è un caso che su questa riforma la stessa Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, nel suo intervento a Montecitorio non abbia saputo trovare argomenti contrari che non rispecchiassero la cultura del sospetto dei sindacalisti della magistratura. Il pm è autonomo da qualunque potere, come si legge nel testo di legge? Non importa, perché prima o poi potrebbe essere sottoposto all’esecutivo. Sospetti, sospetti e solo sospetti. Ma una vera critica nel merito del progetto nessuno è in grado di farla. Così, se il solito Bonelli (ma quando sentiremo anche una parola della co-portavoce dei verdi?) paventa l’arrivo di un sistema autoritario, nessuno ancora ha spiegato se tutti i paesi europei come Francia, Spagna, Germania, Portogallo, oltre a Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone, Australia siano regimi totalitari. Altra lamentazione dei partiti come il Pd, Avs e 5 Stelle è stata quella sul pacchetto “blindato”, definito invece da Maria Carolina Varchi di Fratelli d’Italia come atto di responsabilità, quasi come se i 2 anni di discussione sui 4 progetti di legge – oltre al disegno del governo – non fossero stati sufficienti a dare la parola a tutti. Non resta che associarsi alle parole di Enrico Costa di Forza Italia: “Cercheranno di fermarci, non ci faremo condizionare”. In attesa delle manifestazioni-spot delle toghe in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario del prossimo 24 gennaio.
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