Cesare Pinelli, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza ed esperto della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, è uno dei costituzionalisti più noti d’Italia. Ecco il suo punto della situazione sulle riforme del governo Meloni.

Ben 68 governi da quando esiste la Repubblica. Il premierato può risolvere il problema dell’instabilità?
«Con il premierato da un lato ci sarebbe il presidente del Consiglio più forte proprio perché eletto dai cittadini, dall’altro il presidente della Repubblica. Quest’ultimo tante volte, quando il Parlamento non è riuscito a trovare da solo una maggioranza, ha promosso un accordo tra le parti politiche che ha poi seguito il procedimento di formazione del governo previsto dalla Costituzione (nomina del presidente del Consiglio e dei ministri, e successiva fiducia parlamentare all’esecutivo). Si pensi a tutti i cosiddetti governi tecnici. Con il premierato questo potere non ci sarebbe più. Di per sé non è cosa cattiva: se funziona, allora questa sottrazione di poteri al capo dello Stato avrebbe senso. Altrimenti farebbero bene a non sceglierla. Comunque è una soluzione che non è stata adottata in nessun paese del mondo, se non da Israele per un breve periodo».

Che legge elettorale prevede?
«Se si vuole che la maggioranza parlamentare sia identica a quella che ha eletto il presidente del Consiglio, allora inevitabilmente gli elettori non potranno dare voto disgiunto. Dovranno votare un presidente del Consiglio e dei parlamentari dello stesso colore politico. Poi, se il premier si dimettesse, il Parlamento non si scioglierebbe automaticamente ma anzi avrebbe la possibilità di trovare un secondo nome che prenda il posto del presidente eletto dai cittadini. È una soluzione sbilenca: il sostituto non verrebbe scalzato da nessuno e arriverebbe così a fine legislatura. Se però non ottiene la fiducia delle Camere, allora il Parlamento si scioglie. Il modello dell’elezione diretta del premier deve infatti per forza tenere conto che i nostri sono sempre stati governi di coalizione, in cui i partiti più piccoli hanno sempre avuto un grande potere. Tuttavia, nel caso in cui il partito di maggioranza relativa arrivasse al 40%, governerebbe da solo grazie al premio di maggioranza. Ma io questa eventualità non la vedo».

Cosa non la convince di questo progetto di riforma?
«A differenza delle elezioni comunali, in cui ci sono due turni e le maggioranze si formano tra un’elezione e l’altra, nel caso nazionale il turno è unico e il voto non può essere disgiunto. I parlamentari diverrebbero dei semplici collaboratori del premier, visto che è la sua elezione che trascinerebbe tutto il Parlamento. Cosa mai successa nel mondo. A questo si aggiunge che il premier eletto dovrebbe comunque essere nominato dal presidente della Repubblica, e questa è una cosa chiaramente inutile».

Una previsione: secondo lei questa riforma passerà o no?
«Dipende. La Lega voterà favorevolmente al premierato se l’autonomia differenziata andrà avanti: le due leggi dovevano viaggiare su binari paralleli e invece, in questo momento, mi sembra ci sia la massima confusione. C’è una seconda difficoltà: pare che la maggioranza non abbia trovato un accordo sulla legge elettorale e questo fermerebbe tutto. Penso che per superare queste condizioni ci vogliano ancora dei mesi».

In questo periodo si parla anche di riforma della giustizia. Si può dire che da anni c’è un conflitto tra politica e magistratura?
«Il contrasto è nato negli anni ‘80 dalla questione dell’autorizzazione a procedere contro i parlamentari, poi abrogata nel ’93. Allora la politica parlava di attacco da parte della magistratura, mentre il Consiglio superiore sosteneva che la politica limitasse l’indipendenza del potere giudiziario. Silvio Berlusconi, per risolvere il problema, provò a garantire la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Il tentativo fallì ma le cose sono andate avanti: ora la legislazione ordinaria – a seguito della riforma Cartabia del 2021 – prevede una separazione delle funzioni tra pubblici ministeri e giudice, tali per cui il passaggio dall’una all’altra magistratura può avvenire solo una volta durante tutta la carriera. Se, invece, si vuole portare fino in fondo il discorso di separazione delle carriere c’è bisogno di una riforma costituzionale».

Di recente si è parlato della responsabilità dei magistrati che, secondo molti, non risponderebbero dei propri errori. Lei cosa pensa?
«Abbiamo un carente esercizio della responsabilità disciplinare: se questa venisse sottratta al Csm e affidata a un’Alta corte di Giustizia sarebbe positivo. L’Alta corte, secondo quando si prevede, dovrebbe essere un organo composto dalle supreme magistrature e io non sono in disaccordo con questa visione. Se la funzione restasse nelle mani del Consiglio superiore ci sarebbe un eccesso di connivenza: l’ispirazione corporativa della magistratura è evidente quando la responsabilità disciplinare non viene esercitata».

Lei cambierebbe qualcosa della proposta del governo Meloni che prevede l’istituzione di un doppio Csm?
«L’idea che il presidente della Repubblica continuerebbe a presiedere entrambi mi lascia incerto: tra questi due Consigli può avvenire sempre un conflitto. E, nel caso, il presidente cosa dovrebbe fare? Dovrebbe mediare con sé stesso? Indubbiamente l’attuale situazione del Csm deve essere rivista. Io ritengo che il Csm debba restare unico ma articolato in due sezioni: una per i magistrati inquirenti e una per i magistrati giudicanti. L’elezione così resterebbe unica e non ci sarebbe bisogno di cambiare la Costituzione, ma si potrebbe agire con legge ordinaria».

E sul sorteggio dei membri togati che dice?
«La politica crede che l’elezione sia il mezzo usato dalle correnti della magistratura per accordarsi tra di loro, la cosiddetta “lottizzazione”. Il sorteggio è una soluzione radicale e per certi versi discutibile, e poi non è l’unica possibile. Un’alternativa è stata proposta proprio all’interno del Csm: secondo questa proposta, il sorteggio avverrebbe dopo l’elezione. Le correnti in sé non sono il male, è il modo in cui è organizzato il sistema di elezione che deve essere discusso. Per me la soluzione migliore è quella di applicare la Costituzione in modo più rigoroso, e quindi eleggere ciascun membro separatamente. Le cordate così verrebbero limitate. Questa soluzione però non piace e infatti non è passata».

Giuliano Vacca

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