La parola più tremenda è “catturati”. Evoca gli animali nella giungla, le trappole degli uomini cacciatori, i trofei. Invece qui si sta parlando di ragazzini che hanno infranto le regole e che il giorno di Natale si sono sentiti eroi, e come tali li considerano i loro compagni, e hanno saltato il muro. Che è non solo il margine dell’istituto minorile Cesare Beccaria di Milano, che un tempo, sotto lo sguardo vigile di don Rigoldi, per tutti solamente Gino, era un modello di quanto più contrario al carcere si sia mai visto. Il “muro” è il simbolo dell’emarginazione di questi ragazzi. Che non sono, come si potrebbe pensare, nella gran parte venuti da lontano. Gli immigrati sono solo il 45%, e in genere sono responsabili di reati meno gravi di quelli commessi dai ragazzi italiani.

Quello della nazionalità alla fine non è neppure un dato così importante. Quel che conta è che la giustizia minorile sia capace di tirar fuori questi ragazzi dalla propria identità di soggetto deviante. Perché quando la società dei buoni e onesti repressori ti avrà cucito addosso quel vestito, rischi di non togliertelo più. Perché sarai tu stesso a vederti nel tuo personale specchio sempre e solo così. Siamo noi società degli adulti, né buoni né cattivi, né onesti né disonesti, ma semplicemente adulti, a dover saltare un muro, oggi. Non per gridare la nostra soddisfazione nell’averli “catturati”, nel far loro scontare una condanna ulteriore, ad alcuni per la loro fuga di Natale e agli altri per aver bruciato i materassi con la rabbia di non essere riusciti a scappare anche loro, come i loro eroi che hanno saltato il muro. E neanche per usare la pena come deterrente rispetto ai comportamenti futuri. Cosa che non funziona con gli adulti, figuriamoci con i ragazzini.

Il punto è proprio un altro, i giudici e gli operatori specializzati del settore minorile non possono avere come orizzonte il puro accertamento del reato, ma l’incontro con persone ancora in formazione. Come sono i minori, e anche i giovani adulti, che da un po’ di tempo, con grande scandalo di alcuni, rimangono per qualche anno negli istituti minorili anche dopo i diciotto anni. E spesso si salvano la vita, proprio perché vengono tenuti lontano dal carcere. Potrà parere “scandaloso”, ma lo dice lo stesso codice di procedura penale minorile il fatto che la detenzione debba essere uno strumento residuale, la famosa ultima spiaggia dopo il fallimento di soluzioni alternative. Ma il pericolo è che la detenzione, in luogo di essere utile per un cambiamento, se non un difficile ravvedimento, ottenga l’effetto opposto, cioè la conferma della propria emarginazione, il rafforzamento dell’immagine identitaria di sé come soggetto deviante.

Non conosciamo, giustamente, l’identità dei ragazzi che hanno saltato il muro del Beccaria il giorno di Natale, e non conosciamo il motivo del gesto. Forse quel ragazzo che, dopo i primi due “catturati”, si è fatto convincere dai familiari a tornare indietro, darà qualche spiegazione. Se ci fidiamo del maggior conoscitore delle vite di questi ragazzi, dei loro pensieri, delle solo fantasie e sogni, cioè di don Gino, possiamo pensare che abbiano vissuto il gesto come qualcosa di eroico, qualcosa che abbia loro dato un’identità positiva. Anche io so fare qualcosa, qualcosa per cui essere ammirato. E pensare che la strada della loro crescita verso la società degli adulti dovrebbe passare proprio di lì, dalla scuola, dalla possibilità di aiutare ciascuno di loro a trovare dentro di sé quella lampadina accesa sulla possibilità di essere capace.

Capace di apprendere, capace di fare. Rompere il muro dell’insicurezza, in definitiva, dire a ciascuno di questi ragazzi “tu vali”, tu non sei solo quella cosa lì, la devianza, il reato. Quindi va benissimo che, anche con l’intervento del ministro Salvini, si concludano quei lavori all’interno del Beccaria che paiono fermi da quindici anni. E naturalmente solidarietà agli agenti intossicati dal fumo prodotto dagli incendi. Ma, per carità, pur senza far finta che il gesto di ribellione sia esistito e vada in qualche modo sanzionato, non cominciamo a chiedere pene esemplari anche per i ragazzi. Ricordiamo invece sempre che, accanto ai loro doveri, ci sono i loro diritti: all’educazione, alla formazione, ma anche alla protezione. Perché una società che non sa proteggere i propri figli è una società feroce che pensa solo a “catturare”. Una società sconfitta, alla fine.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.