Il 24 settembre scorso il Tribunale di Napoli Nord ha assolto i fratelli Raffaele e Aniello Cesaro dal reato di concorso esterno in associazione camorristica con una formula – il fatto non sussiste – che smonta la tesi su un presunto patto tra criminalità organizzata, imprenditoria e politica nella gestione dei lavori del PIP di Marano. La sentenza è arrivata al termine di un iter processuale segnato da anomalie e molti fattori di tensione amplificati dalla risonanza mediatica collegata al rilievo pubblico della vicenda e alla condizione degli imputati (sono i fratelli del senatore di Forza Italia Luigi Cesaro). Sbagliato, quindi, parlare di sentenza choc senza soffermarsi sui dettagli e analizzare i fatti nella loro completezza, cedendo al solo fascino di ricostruzioni a prova di prima pagina di giornale.

Vale ripercorrere l’iter del processo. Il 25 maggio 2017 scattano gli arresti cautelari per i quali gli imputati trascorreranno quasi due anni in carcere più altri due ai domiciliari. L’inchiesta della Dda ha un enorme impatto mediatico, gli inquirenti la battezzano pure “Meatball”, dal termine inglese che significa polpetta, ed è noto ai più che corrisponde al soprannome di Luigi Cesaro. «Un’indagine che reca nell’etichetta lessicale che la definisce il riferimento a una persona estranea al processo appare una significativa ‘voce dal sen fuggita’, che finisce per rivelare gli obiettivi autentici ma reconditi, poiché tradisce una non confessabile orientazione politica dell’indagine», osserva il professor Vincenzo Maiello, l’autorevole penalista che ha guidato la difesa dei fratelli Cesaro. Questo è uno dei primi punti di anomalia che poteva pesare anche in dibattimento. Quali sono gli altri? Il processo cambia collegio perché sui giornali spuntano foto del suo presidente a una convention di Forza Italia. Poi c’è una questione relativa a verbali a sommarie informazioni e intercettazioni non depositati: per la Procura sono irrilevanti, per la difesa smentiscono un passaggio centrale della tesi accusatoria.

Infine, il tentativo di dare una corsia preferenziale al dibattimento: accade quando diventa ufficiale che il presidente del collegio passerà di lì a breve a un nuovo incarico e il presidente del Tribunale ridefinisce i ruoli di udienza, disponendo il congelamento della trattazione di ogni altro processo. Gli avvocati insorgono, abbandonano la difesa, vengono denunciati al Consiglio di disciplina forense, che archivia l’esposto rilevando la correttezza della condotta processuale dei difensori. Il presidente del Tribunale revoca l’ordine di servizio: nessuna corsia preferenziale. Gli avvocati riprendono la difesa e dopo un ulteriore anno e mezzo di intensa istruttoria si arriva alla sentenza.

«Una decisione imparziale, rivelatrice di un’ammirevole autonomia e indipendenza di giudizio del Tribunale, che ha saputo immunizzare pesanti fattori di condizionamento, taluni riconducibili all’autorevolezza dell’Ufficio di Procura ed alla forza di prevenzione del giudicato cautelare, altri al pregiudizio di una verità ostile agli imputati che era stata alimentata da una martellante campagna mediatica e che era stata esportata finanche in contesti istituzionali», commenta Maiello. Come a dire che, quando nel processo ognuno fa in fondo la propria parte, la giustizia non è una chimera.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).