«Ha in mente il camino? Per accendervi il fuoco serve un innesco, una miccia, altrimenti la legna non arde. Ecco, nelle indagini penali è uguale: se si vuole proseguire nelle investigazioni è necessario che non venga bruciato tutto subito ma che qualcosa rimanga fuori». Il colloquio con Roberto Pennisi, sostituto presso la Procura nazionale antimafia ed antiterrorismo inizia con questa immagine di sapore autunnale. Pennisi venne chiamato dall’allora procuratore di Bologna Roberto Alfonso per assisterlo nella conduzione dell’indagine Aemilia sulle infiltrazioni dell’ndrangheta in Emilia Romagna per la sua grande esperienza di metodo mafioso e su questo tipo di investigazioni. In passato ha condotto procedimenti, per tanti anni, contro i clan della Locride e della piana di Gioia Tauro.

Dottor Pennisi, sull’indagine Aemilia in questi giorni si è scatenata la polemica politica. Il contenuto della chat del procuratore di Reggio Emilia Marco Mescolini con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara ha fatto tornare di grande attualità il procedimento. Molte le perplessità: Lega, FdI, Forza Italia e anche il M5s hanno presentato interrogazioni per chiarire alcuni nodi. Ad esempio, che non si siano approfonditi tutti gli aspetti e che sostanzialmente si sia indagato a senso unico. Sul punto il Riformista ha intervistato Roberto Alfonso il quale ha dichiarato che la mole di materiale raccolto avrebbe permesso di indagare per altri dieci anni. Alfonso ha anche detto che con Mescolini ci furono dei contrasti personali e lei decise di non far più parte dell’indagine. Alfonso ha rispettato la sua scelta sostenendo che non poteva obbligarla a restare.
Voglio dire subito che non c’è stato alcun contrasto personale, almeno da parte mia, con il dottor Mescolini, un collega molto preparato. Io ho sempre svolto il mio lavoro senza condizionamenti di alcun tipo.

Quindi sono da escludere i contrasti personali?
Guardi, sono alla fine della mia carriera, penso di essere uno dei magistrati più anziani d’Italia. Sono sempre rimasto un soldato semplice e sono fiero di esserlo. E non è che nella mia vita non abbia fatto nulla. Amo il mio lavoro ma non me ne innamoro. E non è una contraddizione.

Escluse le divergenze personali, ci saranno state però divergenze di altro tipo, ad esempio tecnico operativo.
Sì, esatto. Diciamo delle difformità di vedute nel “tirare le somme” dell’indagine e stabilire la strategia ulteriore.

Spieghiamo bene perché, credo, sia il punto nodale di tutta l’indagine.
Io avevo predisposto una mia informativa e Mescolini la sua in ordine all’individuazione delle persone da colpire o meno con il provvedimento restrittivo. E poi avevo tenuto da parte la “miccia” cioè qualcosa da lasciar fuori per proseguire. Il collega mise solo in parte alcuni aspetti della mia informativa. E fu la sua ad andare al gip. Avevo stilato anche uno stralcio che consentiva il passaggio delle investigazioni ad altri livelli.

Col mancato stralcio, si spegneva la miccia?
Se si vogliono proseguire le indagini qualcosa che deve rimanere fuori serve: l’innesco.

Lei aveva già operato in tal modo.
Sempre. Ed era anche il metodo di Alfonso. Facevo nascere l’indagine dagli esiti di una precedente. Ottimi i risultati. Posso illustrare una cosa?

Prego.
Tenga presente che la criminalità organizzata di stampo mafioso si contraddistingue per l’amplissima rete di rapporti con il mondo economico, finanziario, politico. Sono i rapporti con questi poteri che determinano la competenza e consentono di radicare la competenza alle Procure del nord.

Quindi se non ci fossero stati questi rapporti l’indagine andava a Catanzaro, trattandosi di cutresi?
In assenza di rapporto con il territorio emiliano, la competenza sarebbe passata alle Procure del Sud.

Prima dell’indagine Aemilia, tutto andava a Catanzaro?
Erano fenomeni che, per tale via, sfuggivano all’ufficio distrettuale Bologna. Qui rimanevano solo le indagini sugli effetti del fenomeno mafioso mentre io ho sempre detto che si trattava di ‘ndrangheta delocalizzata.

Quindi, preso atto di queste divergenze, lasciò Bologna?
Il magistrato della Dna è applicato all’indagine e al processo. Non all’ufficio. Terminata l’indagine, tornai al mio lavoro. Erano finiti i due anni di applicazione e non essendo stato fatto stralcio vennero meno i presupposti della mia permanenza a Bologna: non feci alcun problema e tornai alla mia sede naturale.

Che clima ha trovato a Bologna?
Grazie allo sforzo organizzativo di Alfonso il clima era migliorato pur non essendo ottimo.

Siete stati supportati dal procuratore nazionale Franco Roberti?
Il procuratore Roberti ci è stato sempre vicino. Non ho alcuna censura da fare, la sua una condotta sempre impeccabile.

Torniamo però ad Alfonso e al materiale raccolto che sarebbe bastato per dieci anni; l’indagine (il primo grado si è concluso nel 2018, attualmente è in corso l’appello) può ripartire per i livelli a cui faceva riferimento prima?
Ripartire? Non lo so. E ammesso che lo sapessi non lo direi.