Letizia Moratti è stata la Sindaca di Milano che ha portato a casa Expo2015, rimasta best case di successo tra i grandi eventi ospitati in Italia. A lei abbiamo chiesto di raccontarci come andò quella volta e cosa non ha funzionato adesso.

È delusa per la bocciatura di Roma? «Certamente, se penso al volano economico che Expo2015 ha rappresentato per Milano, la Lombardia, il Paese… »

A lei, che aveva portato al successo la best practice di Expo Milano, dal Campidoglio avevano chiesto consigli? «All’inizio sì. E gliene ho dati. Ho detto tutte le cose che per la mia esperienza andavano fatte. Vedo che non sono stati seguiti ».

Quali erano i passi da fare? «Visitare tutti i Paesi. Proporre dei progetti e non solo chiedere voti. E avere una governance molto forte, con una catena di comando molto corta. E molto chiara ».

Abbiamo un problema nel non saper fare sistema, all’estero? «Io credo che l’Italia abbia tutti gli strumenti per farsi promozione nel mondo. Non sempre li utilizza, non sempre li mette a frutto. Ma abbiamo una buona rete diplomatica, imprese che hanno importanti relazioni internazionali, una cultura che piace nel mondo. Sono elementi che vanno messi a sistema ».

Qual è il compito della politica, del governo? «Predisporre una governance centrale che governi il sistema. Come dicevo, con guida autorevole e catena di comando corta ».

Può esserci stato, nel caso di Roma, un intralcio reciproco tra maggioranza capitolina di sinistra e governo centrale di destra? «Guardi, nel mio caso ero la sindaca di centrodestra di Milano e il governo Prodi mi diede il massimo sostegno. Ero stata nominata presidente del comitato di candidatura per Expo2015. Quello che ha aiutato molto Milano è stato l’avere una governance semplice e con una linea di trasmissione breve. C’era una cabina di regia a Palazzo Chigi presieduta dal Sottosegretario Enrico Letta, poi c’era il delegato del governo, che era il Sottosegretario agli Esteri, Bobo Craxi e c’era il presidente della Regione Lombardia. Basta. Con l’incarico che avevo ero in grado di parlare con i ministri di tutti i Paesi, disponendo degli strumenti idonei a negoziare con favore gli accordi ».

Che tipo di accordi? Perché oggi si adombra il sospetto che Riad abbia offerto un piatto ricco per essere votata. «Noi ci siamo mossi sul piano della diplomazia e della diplomazia culturale. L’Ungheria voleva ospitare la capitale della cultura? Si stringeva un accordo di sostegno reciproco. Un altro Paese voleva entrare tra i membri a rotazione del Consiglio di Sicurezza Onu? Si firmava un accordo di mutuo supporto. Ho concluso accordi a costo zero, avendo l’autorizzazione di parlare con tutti gli ambasciatori e concordare con loro gli incontri, i viaggi, e raggiungere tutti i ministri in tutti gli angoli del mondo ».

Un lavoro a tempo pieno. «Una presenza continua, che ha comportato un impegno assoluto. Bisogna mettere in agenda tanti viaggi, sembra scontato ma non lo è. Perché bisogna viaggiare non per chiedere voti ma per proporre collaborazioni. In un anno, per valorizzare Expo2015, ho fatto 80 viaggi in 60 Paesi. A spese mie ».

Ci può raccontare qualcuno di quei viaggi, di quegli incontri? «Me li ricordo tutti, uno diverso dall’altro. Un piccolo stato dell’Oceania ci chiese una mano per studiare un modo per mitigare l’innalzamento del livello del mare, che per loro è mortale. Feci inaugurare uno studio all’Università di Milano-Bicocca. In Togo ho promosso una filiera che insegnava a trasformare i pomodori in conserva. In Ghana ho portato la Scala di Milano, avevano il desiderio di far conoscere la grande Opera e la cultura è stata per noi un volano fondamentale. In Uganda, invece… »

Non me ne dica più. È stato un lavoro enorme. Non da Sindaco, da grande struttura diplomatica… «Sì, mi facevo dare dal Ministro degli Esteri una scheda approfondita per ciascun Paese, da dove traevo le informazioni strategiche: necessità, criticità, rapporti con l’Italia e quale tipo di accordo avrei potuto fare. Erano 154 i Paesi del Bie. E io me li sono studiati tutti. Ma non basta la rete diplomatica. Ho fatto tantissime missioni con le università e con i centri di ricerca. E anche questo è fare sistema. Con loro sono riuscita a vincere le resistenze di tanti Paesi, inclusa la Cina ».

È rimasto qualcosa di quegli accordi? «Molti sono ancora in piedi a distanza di anni, ci sono progetti in corso. All’università di Milano è ancora attivo un corso sulla biodiversità dei mari africani. Quando si semina tanto, si raccoglie a lungo ».

Il successo di Expo2015 rischia di rimanere l’ultimo, un unicum. Invece secondo lei è replicabile? «Sì, se si segue quel modello. Con una cabina di regìa unica a Palazzo Chigi, dotata dei poteri necessari. Il non averla è stato uno dei motivi per cui è stata persa l’assegnazione all’Italia di Ema (l’Agenzia Europea per i Medicinali, ndr.): non c’era una cabina dedicata alla Presidenza del Consiglio ».

Viene da pensare che a Roma non si è fatto lo stesso. «Non lo so. Non ho seguito Roma. Certamente bisogna cambiare mentalità, anche imparando dagli errori ».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.