Ci sono vari osservatori che descrivono il sistema istituzionale francese come se fosse in crisi e si concentrano in particolare sull’elezione diretta del Presidente a cui questa volta non si è collegata una maggioranza assoluta alla Camera, per la prima volta da quando nel 2002 le elezioni sono state messe in sequenza per evitare le coabitazioni con maggioranze opposte. Ora non c’è dubbio che il sistema dei partiti sia in forte volatilità e sofferenza e che a fare da freno a queste difficoltà non siano sufficienti (anche se tutt’altro che irrilevanti) l’elezione diretta del Presidente a poca distanza dalle legislative e il sistema elettorale uninominale maggioritario a doppio turno. Ma può essere sufficiente questo a far concludere che le difficoltà del sistema dei partiti non trovino ora potenti freni dentro il sistema istituzionale?

Una prima risposta ci è stata data ieri dal passaggio senza danni del Primo Ministro Borne alla Camera (dove è stata respinta la mozione di sfiducia della sinistra) e al Senato (dove non si votava perché esso è estraneo al rapporto fiduciario). Per capire più in profondità e più a lungo termine il rendimento che ci possiamo attendere dal sistema istituzionale dobbiamo rileggere uno dei testi canonici della transizione dalla Quarta alla Quinta Repubblica, ossia l’audizione del Guardasigilli Michel Debré del 27 agosto 1958 davanti al Consiglio di Stato, poche settimane prima dell’entrata in vigore della nuova Costituzione, che per molti aspetti sembra un ragionamento presbite. Debré parla delle scelte fondanti del nuovo assetto istituzionale. Ritiene indispensabile, ma non decisiva, una legge elettorale maggioritaria perché con la frammentazione dei partiti ereditata dalla Quarta Repubblica non ritiene plausibile che neanche una scelta di quel tipo avrebbe costruito subito “una maggioranza netta e costante”.

Debré dichiara testualmente: «Dal momento che in Francia la stabilità di governo non può risultare anzitutto dalla legge elettorale, bisogna che essa risulti almeno in parte dalla regolamentazione costituzionale». Prescindendo dal fatto che poi, tre mesi dopo, quando si votò per la prima volta col sistema uninominale maggioritario a doppio turno, in realtà una maggioranza di centro-destra in Parlamento si formò comunque per l’effetto di trascinamento legato alla presenza-chiave di De Gaulle, il ragionamento di Debré è utilissimo come vademecum per capire come si possa governare ora anche con una maggioranza relativa. Quali sono i congegni molto meno comprensibili a prima vista del sistema elettorale e dell’elezione diretta (che allora non c’era, sarebbe stata introdotta nel 1962), che possono incidere in modo rilevante? Quelli che gli esperti definiscono l’arsenale del parlamentarismo razionalizzato?

Debré indica anzitutto il rigore con cui è congegnata nella nuova Costituzione la mozione di sfiducia, che è considerata approvata solo col voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti della Camera, ossia la metà più uno dei componenti. Lo sfalsamento dei quorum (maggioranza relativa per la fiducia, cioè con i Sì che devono solo battere i No e invece assoluta per la sfiducia) è la risorsa principale che consente in vari ordinamenti di far nascere Governi di maggioranza relativa in contesti parlamentari molto frammentati (soprattutto nelle democrazie nordiche e iberiche). Questo dato tecnico che potremmo chiamare forse “la legge del gradino supplementare” permette infatti di evitare la necessità di trattative defatiganti che potrebbero portare a maggioranze fisse molto eterogenee, con un programma di Governo fatalmente ridotto a un modesto minimo denominatore comune, e di praticare invece le virtù di maggioranze variabili, distinte per tema, con diverse forze politiche che a seconda dei temi possano aggiungersi a quelle che esprimono il Governo. Ad esempio, nel contesto francese odierno, questo può consentire al Governo Borne, a seconda dei temi, di chiedere i voti o alla parte moderata della sinistra (socialisti e verdi) o quella della destra (Repubblicani).

Questo gradino di consensi in più che è richiesto per la sfiducia è molto più importante della modalità semplice o costruttiva con cui è congegnata la mozione, per quanto questa tecnicalità goda di maggiore popolarità. È vero che nelle Costituzioni in cui è prevista la mozione costruttiva (ovvero l’onere di indicare insieme una nuova guida alternativa del Governo che sostituirebbe quella in carica) è richiesto qualcosa in più a chi vuole sfidare il Governo in carica. Tuttavia per gruppi parlamentari molto eterogenei tra di loro che avversano il Governo da parti diverse dell’emiciclo votare insieme una mozione semplice (dove, come in Francia, non è prevista la costruttiva) è comunque un problema serissimo. Non sarebbe infatti facile per il gruppo di Mélenchon assumersi la responsabilità di votare insieme a quello della Le Pen e viceversa. È esattamente quello che si è visto ieri.

C’è un’obiezione contro tutte queste tecnicalità che proteggono i Governi di maggioranza relativa: ma se questi esecutivi non riescono poi effettivamente a fare accordi, specie a inizio legislatura quando le polemiche elettorali pesano ancora molto come elementi di divisione, possono anche stare in carica ma come riescono a governare? A questa obiezione Debré risponde richiamando la concreta modalità di protezione del Governo con cui il terzo comma dell’articolo 49 ha costruito la questione di fiducia, “una disposizione un po’ eccezionale per assicurare, malgrado le manovre, il voto di un testo indispensabile”. La questione di fiducia alla francese comporta infatti ben due elementi di forza aggiuntiva rispetto a quella a cui noi siamo abituati: il fatto che quando essa è posta il testo è considerato approvato senza nessun bisogno di votarlo e che i gruppi di opposizione, se vogliono, possono reagire solo con una mozione di sfiducia che va approvata a maggioranza assoluta. È vero che nel 2008 questa possibilità è stata ridotta alle leggi di bilancio, a quelle di funzionamento della sicurezza sociale e ad un altro testo per sessione mentre prima era indiscriminata, ma l’arma resta potentissima.

Come se non bastasse aiuta anche l’incompatibilità tar l’essere membri del Governo e parlamentari: ai primi subentra in Aula un supplente e quindi ciò esonera chi sta al Governo dal dover correre in Aula per votare. Debré glissa invece su un’altra risorsa chiave dei Governi di maggioranza relativa, ossia il fatto che, una volta nominato, il Governo non debba chiedere la fiducia iniziale. La questione era lasciata volutamente nell’ambiguità dal testo, ma l’assenza di qualsiasi termine temporale (come quello che in Italia prevede il voto entro dieci giorni dalla nomina) ha facilmente sciolto l’ambiguità in termini favorevoli per il Governo. Esso, come ieri, si presenta alla Camera e se vuole anche al Senato, ma non deve chiedere nessun voto. La fiducia è presunta. Per queste ragioni, come spiegava allora Debré la Costituzione e più specificamente questo arsenale tecnico del cosiddetto parlamentarismo razionalizzato “aiuta potentemente” a tenere al riparo l’autorevolezza delle istituzioni dai mari tempestosi delle difficoltà del sistema dei partiti. Il Governo Borne può vivere molto meglio di quanto non si pensi.