Ce lo avevano spiegato già molti secoli fa; ce lo avevano detto a chiare lettere. Latine, non greche, perché lo capissimo meglio: tertium non datur. Il terzo non è concesso, non è possibile. O di qui o di là; chi non è con me, è contro di me, non è che rimane in mezzo, non si capisce a fare cosa; magari a non prendere parte, né con X né con Y. Un disastro politico.

La fatica in più

Il terzo, del resto, è un incomodo. Per tutti, non solo per gli altri due. Se non un pericolo.Pensate ai poveri Adamo ed Eva e al loro terzo in quella meraviglia di Eden: un serpente, infido e viscido. Al terzo, quasi per compassione, si dà una medaglia di bronzo, forse per ricordarne la faccia. Perché terzo è quasi sempre una complicazione, una fatica in più. Come quando si deve prendere una direzione. Le scelte più esaltanti si prendono a un bivio: la virtù o il vizio, il bene o il male, il mare o la montagna. Ercole al bivio non ebbe esitazioni, scelse la virtù nonostante gli allettamenti del vizio. Ecco, immaginate se, mentre Ercole sceglieva, si fosse fatto avanti un altro mito proponendogli una terza via: Ercole, sono sicuro, avrebbe afferrato la clava… E poi, sempre a proposito di miti, non dimentichiamo Edipo e quello che fece a un trivio, solo perché uno gli aveva tagliato la strada.

La perfezione

Solo in un mondo di numeri il tre è perfetto. Perché è la somma dei primi due, sembrerebbe. Ma siamo sicuri che sia la somma a fare il totale? E quale somma? Una somma provvisoria, com’è quella dei primi due numeri, un dispari e un pari! E gli altri numeri che ci stanno a fare? Chi li ha inventati? Partendo, appunto, dal pari e dal dispari, un bipolarismo riconoscibile e percorribile fino all’infinito. E poi, la contraddizione è nata nello stesso ambiente culturale: il tre perfetto e il terzo che non si dà.

Mettetevi d’accordo, per favore, e non lasciate ai posteri questo dilemma.Ecco, vedete? Dilemma, non trilemma. Perché è sempre fra due che si sceglie. E se anche volessimo criticare il due, lo faremmo dalla parte di Gaber: in due è già un esercito. Meglio soli, allora. Anche perché, se si vuole escludere il trivio omicida di Edipo e si parte, più nobilmente, dal trivio delle arti liberali, si arriva al 3+2 delle nostre Università, che è una complicazione in più, un mettere insieme il presunto numero perfetto e la coppia: il diavolo e l’acqua santa.

Robe da film

Un’altra situazione: io tra di voi, il terzo incomodo, appunto. C’è una lei e ci sono due lui. Il famoso triangolo, meglio non considerarlo. Eppure quel terzo, il secondo lui, continua a lamentarsi, a spiare, a tacere ma pretendendo che i due, intenti a ben altro, lo prendano in considerazione. Il cantante non lo dice, ma lui vorrebbe rimanere in due, ora non importa se con lei o con lui. Quod erat demonstrandum! Si dice: ma la terzietà è una virtù, ci vuole un giudice terzo per risolvere una controversia fra due. Insomma, il terzo uomo (o donna, naturalmente), magari con la colonna sonora di Django Reinhardt: robe da film, o da romanzi, dove, come si sa, nulla è mai come sembra. Come nel mondo della giustizia, del resto. Anche la terza età ha fatto presto a diventare quarta. E speriamo quinta, prima o poi. Mi pare non siate ancora convinti/e. Allora prendiamo il caso della nuora e della suocera. Una dialettica chiara, alla luce del sole. Basterebbe farla andare avanti e troverebbe in sé le proprie soluzioni. No, si è dovuto intromettere un tale che parla a nuora perché suocera intenda. E non si è mai capito chi è, anche se ne scrivono su tutti i giornali (spero, d’ora in poi, mai sul Riformista). Se ci pensate bene, infatti, non si capisce a chi viene in mente di interferire in una relazione già così complicata. Al genero? Al genero della suocera, ma allora sarebbe il marito della nuora, cioè il figlio della suocera.

Al suocero della nuora? Ma allora sarebbe il marito della suocera, e quindi perché moglie intenda. E andando avanti – provateci – si perde la testa in questo triangolo improbabile, in cui magari a parlare a nuora è un passante impiccione, del tutto estraneo alla vicenda. Ecco, più che perfezione, il tre e il terzo sono una limitazione. Tre son le cose che voglio da te, si cantava. Ma se lui o lei voleva dartene quattro, cinque, cento e ancora cento, mille, magari fino ad arrivare a ventiquattromila?

Gigi Spina

Autore