È scomparsa il 13 luglio, a Roma, Paola Gaiotti De Biase, tra le principali esponenti del cattolicesimo democratico italiano. Nata nel 1927 a Napoli, dopo la laurea in filosofia, si è subito impegnata nel movimento cattolico. È stata attiva nella Lega Democratica (dal 1975 al 1987), di cui fu l’ultima presidente. Fu eletta per la Dc nel 1979 nelle prime elezioni dirette per il Parlamento europeo. In seguito si impegnò nel movimento referendario per la riforma elettorale dei primi anni ’90, e poi nel Pds e nei Cristiano Sociali. È stata deputata nel 1994 con i Progressisti. Fu poi tra le promotrici dei Cittadini per l’Ulivo e infine sostenne la nascita del Pd. I funerali si svolgeranno oggi alle 11 nella Parrocchia romana del Preziosissimo Sangue, in via Flaminia.

Di Paola Gaiotti De Biase, personalità multiforme, si possono dire molte cose. Del resto molte angolature diverse della sua personalità ce le ha esposte direttamente nella sua autobiografia Passare la mano. Memorie di una donna dal Novecento incompiuto che ce ne dà un quadro organico. Forse si possono riassumere nella volontà di affermare la conciliabilità tra appartenenza alla Chiesa e sperimentazione della libertà, di sintesi nuove, come lei stessa afferma ad inizio del libro, accomunandosi in questo a Pietro Scoppola. Sintesi tra cristianesimo e femminismo, tra cattolicesimo democratico e collocazione in una sinistra non più comunista, tra valore della Costituzione e volontà di radicarla aggiornandola, e così via.

Però, per noi più giovani di qualche decennio che l’abbiamo conosciuta sin dagli anni 80, era soprattutto un’educatrice, nel senso etimologico del termine, della capacità di estrarre il meglio da coloro che incontrava, dando anche un preciso spessore politico a questo ruolo educativo, senza cedimenti facili alle mode o agli interlocutori. Non a caso alcuni giovani del vivace ambiente cattolico democratico romano degli anni 80 l’avevano anche avuta come insegnante L’ho conosciuta quando era parlamentare europea, nella prima legislatura eletta a suffragio universale, quella 1979-1984. In particolare venne a Strasburgo nel maggio 1981 a una sessione di studi dei movimenti europei legati alla Fuci nella Jec-Miec: spiegò la vita quotidiana in quel Parlamento europeo e soprattutto il lavoro comune con Altiero Spinelli e della conoscenza stretta con Jacques Delors che tanto la entusiasmava, sconvolgendo i pregiudizi dei nostri coetanei europei che votavano quasi tutti per i partiti socialisti e che erano rimasti stupiti che una parlamentare del Ppe parlasse così, dato che negli altri paesi le esperienze comparabili al cattolicesimo democratico stavano nella famiglia socialista.

Nella Lega Democratica con Scoppola, Ardigò e Giuntella, di cui fu ultima presidente, era piuttosto in sintonia col primo, richiamando i giovani al realismo. Ricordo in particolare un passaggio chiave e controverso: la distensione era stato un grande progetto politico e il ruolo di Aldo Moro nella conferenza di Helsinki era stato profetico, ma l’installazione degli euromissili era giusta in termini di realismo politico rispetto all’aggressività dell’Urss e coerente con il rilancio di una difesa europea. Su questi temi stupì molti (ma non appunto chi aveva avuto l’esperienza della Lega Democratica) quando, dopo aver fatto la scelta individuale di aderire al nascente Pds, nel primo Congresso, quello del’91, si oppose alle posizioni pacifiste radicali della sinistra interna che volevano richiamare le navi italiane dal Golfo ma anche a quelle mediane del segretario Occhetto facendo asse col realismo di Napolitano.

Rompeva così l’idea che i cattolici che aderivano alla sinistra dovessero per questo dare prova di spostarsi sulle posizioni più distanti dal realismo, quasi che la rottura con la Dc dovesse comportare anche una rottura con una cultura di governo e di mediazione tra principi e realtà. Fu netta anche la sua opposizione all’uscita dei ministri del Pds dal Governo Ciampi, che contribuì a impedire una convergenza di centrosinistra per le elezioni dell’anno successivo. Fu molto in sintonia alla fine degli anni 80 con lo sforzo della rivista Appunti di cultura e di politica, di cui era stata fondatrice nei giorni del rapimento Moro e che era sopravvissuta alla fine della Lega Democratica, per arrivare in modo più stringente alla riforma elettorale anche attraverso i referendum elettorali e con la spinta dal basso, oltre le barriere politiche, che portò alla nascita del primo Ulivo, fino alla nascita del Pd.

Il senso profondo, collettivo, di queste ed altre esperienze simili, guidate da questi educatori, è stato del resto quello che sottolineava spesso Pietro Scoppola: c’era una identità aperta, quella del cattolicesimo democratico, che andava pensata come autonoma rispetto a quella che nella Repubblica dei partiti era il concreto strumento della Dc, anche delle sue correnti di sinistra con le quali la sintonia era maggiore. Un’autonomia che andava valorizzata perché quegli strumenti partitici, come del resto l’insieme del sistema dei partiti di quel periodo, avrebbe potuto essere radicalmente messo in discussione. Se essa si è rivelata vitale è appunto perché quell’autonomia è stata sapientemente declinata.