Il libro
Come la lotta contro l’eroina è diventata una guerra contro le persone

«Quando è stato che hai perdonato tuo padre?». Ogni volta che pensiamo a un drogato, a un tossicodipendente, a un eroinomane non riusciamo a immaginare questo come una persona con i suoi sentimenti, paure, desideri. Un drogato è generalmente descritto come un oggetto di statistiche, di contabilità asettica, di auto-valutazione di una società che reputa sé stessa tanto più sana quanto più riesce a espellere questi soggetti devianti. Eppure Valentina, che si fa di eroina da quando aveva 13 anni e che sconta una pena nel carcere della Giudecca a Venezia, è una donna con sentimenti, paure, desideri. E i suoi sono tutti per sua figlia.
Si chiede in continuazione se quella bambina potrà mai perdonarla: per il carcere per la droga, per l’abbandono, per non riuscire a farcela. Se lo chiede e chiede a Vanessa Roghi quand’è che è riuscita a perdonare il suo di padre. Le fa questa domanda il giorno in cui, nel 2018, la scrittrice entra nel penitenziario per presentare Piccola città. Una storia comune di eroina (Laterza, 2018). A Valentina è dedicato Eroina il nuovo libro di Roghi, appena pubblicato da Mondadori, un vero e proprio compendio umanizzato sulla sostanza più temuta e più stigmatizzata. “Ho iniziato a studiare la storia dell’eroina e della costruzione culturale della figura del drogato qualche anno fa – scrive Roghi – volevo affrontare in prospettiva storiografica l’esperienza che aveva vissuto mio padre insieme a tanti ragazzi e ragazze della sua generazione. Ho scoperto che avrei dovuto partire quasi da zero, per quanto riguardava gli studi storici”.
E lo fa. Così il testo tiene insieme una storiografia robusta, la cronologia delle scoperte e degli utilizzi medici della sostanza, le vicende politiche che hanno scatenato la guerra alla droga ma anche – e soprattutto – le piccole storie delle persone, quelle che nella narrazione pubblica finiscono sempre con lo sparire sullo sfondo. Leggendo Eroina si scoprono cose interessanti, come il fatto che il consumo di oppio e dei suoi derivati – e pure quello di cocaina – è stato perfettamente legale per molto tempo. Nel XIX secolo queste sostanze hanno goduto di grande fortuna e diffusione presso medici e pazienti, soprattutto nel mondo anglosassone. Forse qualcuno ricorderà come pure in Italia il “papagno”- una bevanda ricavata dal papavero – veniva dato dalle contadine del Sud Italia ai figli per addormentarli mentre loro lavoravano campi. Dell’uso pediatrico del papavero, del resto, come ricorda Roghi, ne parlavano già Galeno ed Avicenna. L’eroina, come nuovo derivato dell’oppio, arriva in commercio a fine Ottocento come analgesico. Il nome deriva dall’aggettivo con cui l’azienda farmaceutica tedesca Bayer la brevetta: eroica, perché potentissima in minuscole quantità. Perché dà un benessere mai conosciuto prima, lenisce ogni male e soprattutto è meglio della morfina.
È così, insomma, che nasce l’eroina, la droga per antonomasia, quella il cui paradigma interpretativo ha condizionato lo sguardo su ogni sostanza. Questo nel nostro Paese prende forma negli anni Ottanta quando Bettino Craxi si fa sedurre dalla war on drugs americana e anche in Italia comincia a diffondersi l’idea che usare droghe fosse sempre moralmente inaccettabile e quindi perseguibile. Tutte le droghe, pure la cannabis. Ma non l’alcool, per esempio. E insieme alla proibizione di una sostanza sorge, inevitabile, lo stigma contro chi la usa. “Perché proibire una sostanza non ha alcuna efficacia se contemporaneamente non si afferma un tabù culturale condiviso”, osserva l’autrice. Fare uso di eroina deve essere percepito come sbagliato da un punto di vista morale e sociale e non semplicemente individuale, sanitario. Occorre affermare che chi si droga non fa male solo a sé stesso. Fa male alla società: è un ladro un assassino, una minaccia per tutti.
Ma questa guerra alla droga, infine, si è rivelata essere una guerra alle persone. E quando si è in guerra vale tutto. Si spiega così, forse, anche come è stato possibile che l’informazione su questi temi invece di fornire una cronaca obiettiva e imparziale, ha finito con l’essere un formidabile strumento di diffusione di quel panico morale che permea opinione pubblica e politica. Uno strumento di guerra contro le persone, contro le loro piccole storie. Uno schiacciasassi su vicende come quella di Desirée Mariottini, di cui Vanessa Roghi parla in chiusura del suo libro. La giovane, sedici anni appena, lasciata morire a Roma, a San Lorenzo, in stato di incoscienza dopo essere stata stuprata dagli spacciatori che le avevano dato metadone, eroina e altre sostanze. Sul corpo martoriato di questa ragazza si è svolta una battaglia ideologica che ha visto partecipare tutti: un Ministro dell’interno, manco a dirlo Matteo Salvini, che ha voluto recarsi sul posto per lasciare un fiore e rilanciare la sua guerra alla droga e all’immigrazione clandestina. E in questa tragedia la stampa non ha tardato a ricostruire il profilo di predestinata a quella fine della ragazza. Perché in fondo era una tossica. Dei sentimenti, delle paure, dei desideri di Desirée che aveva solo sedici anni non si è interessato nessuno. Eppure bisognerebbe far capire alle persone che non esistono predestinati a questa fine, che non si è salvi e non si è migliori di quelli che davanti alle domande essenziali della vita una risposta buona non ce l’hanno. E la cercano altrove.
Un brano di “Eroina”
Fra le sostanze stupefacenti l’eroina è, senza dubbio, quella più di ogni altra segnata dallo stigma o dalla tragedia. L’«eroinomane» è il drogato per definizione, si fa fatica a pensare a un uso consapevole del derivato del papavero come, invece, è possibile per sostanze come hashish, cannabis o allucinogeni. Il consumo di eroina è degradante, associato a scenari di squallore. Nel discorso pubblico chi fa uso di eroina va inevitabilmente incontro alla morte. Ma è sempre stato così? L’eroina è un prodotto farmaceutico: il suo potere analgesico ha fatto sperare a lungo che potesse essere la soluzione per liberare l’uomo dal dolore in modo definitivo.
Soltanto la scoperta dei rischi connessi al suo abuso, la dipendenza, l’overdose, ha spinto prima i governi, poi le stesse case farmaceutiche, a toglierla dal commercio e dichiararla illegale quasi ovunque nel mondo. Eppure, da quel lontano 1898, quando è stata brevettata dalla tedesca Bayer, l’eroina non ha mai smesso di circolare: poche merci hanno avuto tanta fortuna nel corso del XX secolo e continuano ad averne. Perché? Fra le sostanze psicotrope l’eroina è sicuramente la più antisociale, non «serve» per stare meglio con gli altri, non ha proprietà ansiolitiche che non possano essere trovate in un farmaco, in più è noto ormai che comporta seri pericoli per la salute, addirittura per la vita. È illegale quindi comprarla, se non assumerla, in molti Paesi è rischioso. E allora perché è sempre più diffusa?
PROSSIME PRESENTAZIONI
– Bologna 6 dicembre ore 18,30 con Pino Di Pino e la Rete di Riduzione del Danno
– Grosseto 17 dicembre ore 18,00 Letture di Arianna Gaudio con Filippo Gatti (Polo culturale Le Clarisse)
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