Sull’inchiesta ligure Tommaso Foti, capogruppo di FdI alla Camera, si è esibito ieri in un notevole numero di ginnastica acrobatica: “Dal punto di vista tecnico è necessario il rispetto per le indagini… trarre conclusioni in questa fase è solo cercare processi mediatici… attendiamo che i fatti possano avere una valenza… ci potrebbero essere delle attività intermedie… c’è un principio di non colpevolezza… ma siamo in una fase che va gestita…”.

Da medaglia olimpica. A sorreggere e completare il pensiero periclitante di Foti è arrivata Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Pd: “Dai provvedimenti giudiziari emergono ipotesi di reato di cui si occuperà la magistratura, ma è evidente che la vicenda è tutta (ha detto proprio “tutta”) politica, e che il passo indietro è necessario per evitare un grave discredito delle istituzioni”. A lei complimenti per la chiarezza. Andiamo alla sintesi: due politici importanti – uno della maggioranza, l’altra dell’opposizione – dicono o lasciano intendere che Giovanni Toti deve lasciare il suo incarico non perché sia un delinquente o perché sta governando male, ma perché c’è un’inchiesta in corso.

La gogna

Ai due, promossi al rango di PM, basta il fascicolo aperto per emettere una sentenza di colpevolezza e liberare un posto da mettere a gara per le proprie rispettive, fameliche truppe. Se poi un giorno dovesse essere dimostrata l’infondatezza delle accuse (e ormai anche i bambini sanno che le assoluzioni dopo inchieste farlocche fioccano più delle multe per l’autovelox), che cosa farà quel fantastico mondo delle manette a nome Italia? Invertirà le lancette del tempo per rimettere in sella un eletto del popolo? Oppure la democrazia dei diritti sacri per tutti – salvo per chi ne ha diritto – passerà alla prossima gogna senza un briciolo di vergogna?

La fisica newtoniana e l’esperienza ci fanno propendere per la seconda ipotesi. Ed è questo il motivo per cui in nome della civiltà giuridica, della democrazia, del buonsenso – e nel suo interesse – diciamo a Giovanni Toti di resistere, di restare al suo posto, di non infilarsi nella micidiale ruota della tortura di trattative politiche sotterranee, amichevoli blandizie, promesse ingannevoli, assicurazioni a perdere che di certo si stanno sviluppando in queste ore, da cui – ancora più certamente – uscirebbe schiacciato. E speriamo che ci siano ancora italiani non affiliati nelle schiere delle tifoserie cieche capaci di distinguere e tenere separati principi e convenienze, interessi generali e particulare, convivenza civile e lotta politica.

Il gioco win-win

Se poi dovessimo consigliare a Toti di lanciare la sua stampella – come l’eroe omonimo – contro qualcuno, gli diremmo di prendere la mira contro i politici, non contro i magistrati. Perché i pm fanno – e bene – il loro mestiere. Da decenni tengono sotto scacco la politica, in stretta alleanza con i media. Insieme si divertono un mondo ad assistere alle evoluzioni sempre più miserevoli di una politica subalterna, succube, senza spina dorsale che – come nel caso del duo Foti-Serracchiani – mette coscientemente la testa sul ceppo, in attesa di vedersela mozzata.

Se invece il caso Toti fosse il primo di una inversione di tendenza, il segnale di una politica che riprende il bandolo della matassa fottendosene di commentatori impalcati e giornalisti assatanati, beh allora potremmo cerchiare sul calendario la data del 7 maggio 2024 come un giorno fausto. Voi dite che così si incattivirebbero di più i tanti manettari con la bava alla bocca? Niente paura. Alla lunga la verità avrebbe comunque la meglio. In un caso, con Toti innocente, la democrazia trionferebbe. Nell’altro caso Toti la pagherebbe – e noi saremmo dispiaciuti – ma la democrazia vincerebbe, forse ancora di più. E che cosa c’è di meglio di un gioco win-win?