Sono passati trentadue anni dallo scoppio di quel conflitto tra magistratura e politica che ha aperto una lesione profonda nel rapporto tra poteri dello Stato e minato l’indipendenza stessa della politica. Le inchieste del “pool” di Mani Pulite connesse alla violenta campagna di stampa hanno generato un clima “giustizialista” di cui ancora oggi ne scontiamo le conseguenze nei toni e nel frasario manettaro con il quale viene raccontata e commentata ogni vicenda che tocca da vicino il mondo politico. Quel clima che Bettino Craxi definì “infame” da allora non è mai cessato, al contrario si è alimentato nel corso di tre decenni in cui la giustizia ad orologeria è intervenuta e ha inciso nella vita democratica del paese.

Perché il vero problema, la questione che ancora oggi interroga le coscienze, di chi non si è più o meno volutamente coperto gli occhi, è la violenza con cui un potere dello stato quello giudiziario, abusando del proprio potere abbia sottomesso e distrutto il ruolo e le funzioni proprie di quegli organi costituzionali che sono la garanzia e il baluardo di ogni minimo principio democratico. In quel fatale biennio si sono calpestati oltre ad ogni principio umano, nel nome e per conto di una caccia alle streghe accompagnata da squilli di tromba e “urla spagnolesche”, quei dettami costituzionali voluto dai padri costituenti per tutelare e proteggere il parlamento da qualsiasi tipologia di aggressione, soprattutto da quella più pericolosa, e più complessa da schivare. Quella proveniente dagli altri poteri dello Stato, come avvenuto nel 1992/94 dove un delirio di onnipotenza giustizialista ha messo in ginocchio il parlamento – con alcune più o meno celate complicità tra gli stessi scranni parlamentari – ed esposto al pubblico ludibrio un’intera classe politica.

Ovviamente guardando al di là della cortina di fumo, si è poi notato come Mani Pulite non abbia operato con la sciabola, ma con il bisturi, abilmente indirizzato a colpire dove bisognava colpire e a bai passare laddove si doveva mantener lo “status quo”. Così si è distrutto il Partito Socialista, si è distrutta metà (quella non di sinistra) della Democrazia Cristiana e l’intero c.d. pentapartito. Lasciando indenne solo la sinistra comunista o meglio quella appena divenuta post-comunista. Non è un mistero e storia. E gli interrogativi di allora sono divenuti certezze poi man mano che la storia italiana si ripeteva in una macabra danza dell’eterno ritorno dell’uguale. Cambiavano i volti, ma la sinfonia è rimasta sempre la medesima.

Inchieste, indagini, intercettazioni, campagna di stampa, linciaggio mediatico e poi social. Additando sempre e comunque la “casta”, così il ventennio Berlusconiano fatto di uno scontro sempre più polarizzato e violento ha fatto crollare tutte le ipocrisie di un giustizialismo violento e ingannatore. Più lo scontro mostrava la sua virulenza, più la politica si interrogava sull’errore fatale commesso sotto la pressione delle piazze e degli “urlatori” nell’ eliminare “l’immunità parlamentare”, garanzia voluta dai padri costituenti per tutelare l’indipendenza della politica. Oggi forse è arrivato il momento di rivedere quella folle decisone suicida che la politica assunse nel vano e disperato tentativo di ottenere indulgenza dalla folla inferocita, perché eccitata dai falsi profeti, e dai piagnoni di ogni stagione.

Così come si fa sempre più necessario e impellente al di là della più generale e complessiva riforma Nordio che anche coloro che amministrano la giustizia debbano rispondere dei propri errori, delle proprie mancanze, e di alcune evidenti azioni persecutorie messe in atto nella consapevolezza della costante “impunità”. Se tutti devono essere uguali alla legge, lo devono essere ancor di più coloro che l’ammaestrano. Perché la legittimità l’indipendenza della magistratura non può e non deve essere l’alibi entro il quale tutto è concesso, con gli effetti che tutti conosciamo.

L’indagine aperta sui componenti dell’attuale esecutivo è solo l’ultimo capitolo di una tragedia nazionale la cui unica vittima è la giustizia, e la fiducia di ogni cittadino dinanzi ad essa. Ma anche lo strumento postumo di una guerra a cui solo la politica può e deve mettere fine, riassumendo il suo ruolo, la sua indipendenza e la sua legittimità. Deve e può questa maggioranza provare a costruire un ampio consenso parlamentare e politico intorno alla necessità di porre fine a tale anomalia. La proposta di Enrico Costa può essere un passo, ma non è una Commissione che può chiudere una contesa che non ha vincitori ma solo vinti.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.