Non è solo una faccenda domestica italiana
Condanna Le Pen, torna il regime neo-medievale: la maionese istituzionale impazzisce in Francia, dove il pm risponde al guardasigilli
La sentenza di primo grado contro Le Pen (su cui aleggiano l’immunità degli eletti e i costi della politica) è stata emanata in Francia, dove magistrati e ministro della Giustizia appartengono allo stesso ordine

Se la battuta del premier ungherese Viktor Orban “Je suis Marine” fosse stata pronunciata da un leader di parte avversa al RN di Le Pen, avremmo già trovato la soluzione per superare quello che ogni giorno di più sta diventando il problema dei problemi. Come mantenere forti la politica e i governi in un sistema di regole, in cui coloro che sono chiamati a farle applicare non abbiano la tentazione di sostituirsi ai primi nel mito di una purificazione dell’intera società. Una sorta di sistema neo-medievale in cui la jurisdictio diventa il potere totale che coincide con l’etica pubblica.
Non è solo una faccenda domestica italiana
Il problema esiste e si fa diffondendo. E pensare che in tanti la credevamo solo faccenda domestica italiana. Tanto che per quelli di noi che sono meno giovani, in passato la battuta di Orban ne avrebbe evocato solo una analoga che non c’entrava molto con la politica, e neanche con la sentenza che è stramazzata come una mannaia sul collo di Marine Le Pen, ma era ben più unificante del banale conflitto politica-magistratura. L’immagine indimenticabile e molto francese di una donna bellissima che emergeva dall’ombra della sua auto a sussurrava “Oui, je suis Catherine Deneuve”. Era il 1982 con la pubblicità della Lancia Delta Lx. Per nulla “divisiva”, come direbbe oggi chi parla solo per slogan.
Oggi la Francia intera, e non si può fingere che non sia così, si ritrova tra le mani, o meglio tra i piedi, un problema non da poco. Che è politico, che è anche “morale” per i moralisti, quale sicuramente è anche la stessa Marine Le Pen, che quella misura di incandidabilità che la presidente della corte Bénédicte de Perthuis ha erogato nei suoi confronti per cinque anni, avrebbe voluto fosse perpetua per gli altri, per esempio nei confronti dell’ex presidente Sarkozy. In questo quadro, restano sullo sfondo e diventano secondari problemi come il reato e la sua fondatezza. Che nel caso specifico, visti anche da un orizzonte nostrano, sicuramente meno petulante e da ricerca del pelo nell’uovo come quello europeo, appaiono ancora tutti da verificare.
Anche se il verdetto della sentenza di primo grado è stato di condanna a 4 anni, di cui 2 coperti dalla condizionale e gli altri da scontare ai domiciliari con braccialetto elettronico, per la leader del RN e altri 24 eurodeputati del suo partito. Perché diciamo che è ancora tutto da verificare nel prossimo grado di giudizio? Perché il tema è ambiguo, e lo abbiamo vissuto anche in Italia. Gli imputati erano accusati, nella sostanza, di aver usato, tra il 2004 e il 2016, fondi europei destinati a stipendiare gli assistenti parlamentari, anche per mansioni di partito. Terreno più che scivoloso. Ne sa qualcosa per esempio Matteo Renzi, sospettato ingiustamente di aver utilizzato fondi della società Open per finanziare occultamente il suo partito.
Il precedente di Dupont Moretti
E sempre aleggiano due questioni, quella dell’immunità degli eletti, soprattutto al Parlamento, e quella dei costi della politica. Il paradosso è che l’impazzimento della maionese istituzionale sia esploso proprio in Francia, nel paese in cui, pur appartenendo la magistratura a un unico ordine, il pubblico ministro risponde direttamente al ministro della giustizia. Il paese che negli anni scorsi ha processato per corruzione, e in seguito assolto ma dopo tre anni, lo stesso guardasigilli Eric Dupont Moretti. Esempi che andrebbero sempre ricordati per esempio al sindacato italiano dei magistrati, che agita senza senso come un drappo rosso davanti al toro, il pericolo che la riforma sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri nasconda proprio quella diavoleria che i cugini d’oltralpe ritengono normale regola di civiltà giuridica che non impedisce ai loro magistrati di giudicare anche i membri del governo. Ma è indubbio che una nuova protezione degli organi elettivi e dei loro membri, quale forma di autodifesa nei confronti di un altro potere, fatto non di eletti ma di burocrati, che sta sempre di più attribuendo a sé stesso il compito di bonificare la società, dovrà essere trovata.
Dalla Severino alla legge Sapin 2: così ritorna il regime neo-medievale
Quando impreviste forme di potere vengono assunte da burocrati in divisa, la società liberale dell’occidente sa come difendersi e come trovare nelle proprie radici gli anticorpi. Lo aveva saputo fare la Costituente in Italia anche dopo il fascismo e la seconda guerra mondiale con l’immunità parlamentare. Poi sono arrivati gli anni novanta, Mani Pulite e la cancellazione di quel principio di civiltà da parte di un Parlamento così intimidito da arrivare, anni dopo, a votare una legge liberticida come quella che porta il nome della ministra Severino. Che ha consentito, dopo la distruzione dei partiti della prima repubblica, di togliere la scena politica anche al leader della seconda, Silvio Berlusconi.
Anche in Francia esiste una specie di legge Severino, la legge Sapin 2 del 2016 sull’ineleggibilità dei condannati. Ma la giudice de Perthuis ha voluto applicarla subito dopo il processo di primo grado a Marine Le Pen per «garantire – ha detto – che i rappresentanti eletti, come tutti coloro che sono soggetti alla legge non beneficino di un regime preferenziale». Non era obbligata a farlo, ha usato il suo potere discrezionale proprio come in un regime neo-medievale, dove il potere totale è nelle mani di chi ha quello dello juris dicere.
© Riproduzione riservata