È finalmente approdata, alla Camera, la Riforma della giustizia che oggi avrà il sì definitivo. La gestazione è stata particolarmente laboriosa: testi approvati all’unanimità in sede governativa e poi contestati dagli stessi che l’avevano approvata, cannoneggiamenti da parte di alcuni Procuratori, da parte del Csm e da parte della magistratura associata. Addirittura, insulti da parte di qualche organo di stampa. È giustificato tutto questo?

Ha scritto Massimo Donini su questo giornale, commentando le contorsioni della Riforma, «ognuno capisce subito quanta politica, contrabbandata per giustizia, contamini o colori questa materia». Ed è, questa, l’unica prospettiva nella quale si comprende tanta agitazione per una Riforma che, sotto il profilo tecnico, non può scaldare i cuori. È solo la sempiterna esigenza dei partiti, compreso evidentemente quello delle procure, di piazzare bandierine, sperando così di raccogliere consenso. Con per di più l’atavico riflesso di alzare tanto più i toni quanto maggiore è la percezione di una drammatica perdita di consenso in atto. Che è quello che si sta verificando per i 5Stelle e per il partito delle procure.

Ma dal punto di vista tecnico cosa cambia in buona sostanza? È una vera riforma o si tratta di “artifici e raggiri” per poter ottenere i fondi del New Generation Eu? È necessario, per dare una risposta, distinguere le due parti della Riforma: quella destinata ad accorciare i tempi del processo penale e quella destinata a sciogliere il nodo, di maggiore rilievo politico, della prescrizione. Solo la prima, difatti, è funzionale a legittimare la concessione dei fondi del New Generation Eu. Ebbene, se si guarda alla prima parte della Riforma, i dubbi che possa essere raggiunta la riduzione del 25% dei tempi del processo penale, richiesta dall’Europa, sono molti. La Riforma si fonda, essenzialmente, sulla prospettiva di introdurre, in presenza di un reato, soluzioni alternative alla celebrazione del dibattimento, da riservare, con il dispendio di tempo e di energie che esso richiede, solo all’accertamento di una parte residuale dei reati commessi. In questo senso sono stati potenziati gli istituti dell’udienza preliminare, del giudizio abbreviato e del patteggiamento, è stato dato ampio spazio alla giustizia riparativa e sono state ampliate le ipotesi di non procedibilità.

Sul punto va osservato, in primo luogo, che l’impressione è che si voglia raccogliere tutta l’acqua del mare con un secchiello. Uno dei dati pacifici, nell’accalorato dibattito sulla giustizia, è che il combinato disposto dell’obbligatorietà dell’azione penale e di oltre seimila fattispecie penali ha una conseguenza inevitabile: per quanti reati possano essere definiti rapidamente e per via alternativa, essi non saranno mai in numero sufficiente a ridurre la pressione, che tutte le altre vicende penalmente rilevanti continueranno ad esercitare sulla giustizia penale. Delle due, l’una: o si mette mano, finalmente, all’ipocrita feticcio della obbligatorietà dell’azione penale o si procede ad una drastica riduzione delle fattispecie penali. Altrimenti, la giustizia penale italiana continuerà, come oggi, ad essere sommersa da un numero di reati che non sarà mai in grado di definire in tempi ragionevoli, quale che sia il rafforzamento della struttura.

In secondo luogo, vi sono alle spalle trenta anni di storia giudiziaria, che non lasciano ben sperare. Il rafforzamento dell’istituto dell’udienza preliminare è stato una costante della legislazione successiva alla introduzione del codice Vassalli, supportata, per giunta, da alcune decisioni della Corte costituzionale. Ciononostante, l’udienza preliminare, come filtro contro le accuse infondate, non è mai decollata. Il perché è facilmente comprensibile ove si ricordi la vicenda del Mottarone. Ad un Gip, che ha osato discostarsi dalle richieste di un pm, ha reagito male la cittadella giudiziaria di quella città. Si tratta certamente di un caso estremo, ma che indica chiaramente quale sia l’atmosfera generale e che induce a ritenere che, sino a quando non sarà in vigore una effettiva divisione delle carriere, sarà difficile vedere una udienza preliminare che funzioni da filtro. A sua volta, il giudizio abbreviato ha avuto scarsissimo successo per una ragione precisa. Troppo spesso è stato interpretato come una inammissibile furbata per ottenere una pena inferiore, con la conseguenza che l’esito spesso è stato una condanna alla stessa pena che sarebbe stata inflitta in dibattimento. Ed infatti sono molti i Giudici dell’udienza preliminare che si vantano del fatto che nessuno più ha il coraggio di chiedere loro il giudizio abbreviato. Vi sono eccezioni, ma, appunto, sono eccezioni. Si tratta di esperienze, ormai maturate in oltre trenta anni, le quali non possono che lasciare dubbiosi sugli esiti concreti della Riforma. Occorrerebbe un mutamento di atteggiamento culturale, di cui non vi è traccia.

Se, poi, si passa a considerare la parte della Riforma, che non ha a che vedere con i fondi del New Generation Eu, i profili di sconforto sono, se possibile, ancora maggiori. In primo luogo, la Riforma prevede una vera e propria aberrazione: la improcedibilità in appello o in cassazione, determinata dal superamento di una determinata tempistica, dipende dalla volontà della stessa Corte per la cui attività sono previsti i termini, che può a sua discrezione prolungarli, affermando che si tratta di procedimento complesso. Alle numerose incertezze già esistenti se ne aggiunge un’altra: il termine massimo di soggezione del cittadino al processo dipende da quello che vorrà il Giudice. Evidentemente non ha insegnato nulla la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittima la norma che attribuiva ai capi delle Corti il potere di sospendere discrezionalmente la prescrizione, in relazione alla emergenza Covid. A questa prima perplessità di carattere generale e teorico, si aggiunge lo scetticismo che viene dall’esperienza. Il problema di termini da non far maturare si è già posto con riguardo ai termini di prescrizione. I quali, come noto, restano sospesi e non corrono quando il rinvio è richiesto dalla difesa. Ed è esperienza diffusa che, di fronte alla sollecitazione della corte di chiedere un rinvio, il difensore non può che obbedire, non potendo insistere per celebrare un processo contro la volontà di chi deve giudicare. Allo stesso modo, è prevedibile che anche i nuovi termini, per la definizione delle impugnazioni, potranno essere procrastinati sollecitando i difensori a chiedere un rinvio.

Di fronte a tutto questo, la baruffa che si è aperta sulla Riforma Cartabia finisce con l’essere una ulteriore conferma di quanto il palazzo sia distante dalla realtà. Solo i referendum potranno colmare questa distanza.