Il caos e la Resistenza
Cosa sta succedendo in Iran, perché l’opposizione al regime non deve dividersi
Parliamo del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, dei Mojahedin del Popolo e di Maryam Rajavi. In questi giorni drammatici per il popolo iraniano, di lotta e di speranza, dopo mesi di una protesta che è la più lunga e la più diffusa da quando esiste il regime dei mullah, dovremmo essere tutti concentrati su come aiutare davvero questo popolo a ottenere libertà, democrazia, sviluppo e restituire a quel grande Paese lo spazio che la storia e la geopolitica gli assegnano.
Purtroppo si stanno facendo sentire invece anche le prime diatribe all’interno della resistenza e della diaspora. E sono cresciuti da più parti i distinguo, gli attacchi e a volte anche falsità e offese verso una parte importante di questo movimento di resistenza. Si tratta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, dei Mojahedin del Popolo e della Presidente Maryam Rajavi, che è stata addirittura oggetto di una pesante e inaccettabile violenza alla manifestazione romana di sabato 10 dicembre organizzata dal Partito Radicale dove insieme a parole false e ingiuriose si è dovuto assistere a una sua immagine a testa in giù con delle corna dipinte, degna delle peggiori manifestazioni del regime.
Ora, è del tutto legittimo non riconoscersi nel Consiglio Nazionale, non riconoscere e non apprezzare la sua guida, ci mancherebbe. Ma anche senza dover pensare a infiltrati e provocatori, che pur non sarebbero una sorpresa, in situazioni come questa è inaccettabile non solo questo tipo di attacco ma un serpeggiante ostracismo verso questa importante organizzazione. Già in passato ho ascoltato giornalisti e commentatori italiani e stranieri dirmi che potevo parlare di Iran se però stavo ben attento a tenere le distanze da questo gruppo. E un collega che ricopriva un ruolo di primo piano nella passata legislatura ha cercato di impedirmi e mi ha sconsigliato di ospitarlo in Senato e mi ha rimproverato per aver fatto parlare “una terrorista”.
Ho avuto modo di conoscere personalmente queste persone e in particolare i moltissimi italiani che aderiscono a questo movimento, conosco le loro storie e le loro professioni, le loro letture e le loro passioni. Ho partecipato ai raduni e visitato il loro campo in Albania, in compagnia di colleghi progressisti e conservatori di ogni parte del mondo, tra cui esponenti di primissimo piano della politica mondiale. Vorrei tra l’altro ricordare che le stesse accuse di terrorismo si basano sull’inserimento in “liste nere” superato da ben 12 anni e frutto di un cedimento al regime iraniano dei Paesi occidentali che in quegli anni teorizzavano la trattativa. Queste liste hanno visto nel tempo entrare e uscire organizzazioni a seconda delle valutazioni e delle opportunità politiche. E del resto chi meglio di noi sa che durante un regime si creano organizzazioni “partigiane”, come le nostre Brigate Garibaldi, che sono considerate naturalmente terroriste dal regime stesso, ma di cui celebriamo le gesta da oltre 70 anni.
Molti di loro sorridono alla accusa di islamomarxismo che pur può avere anche un fondamento storico e non si capisce perché dovrebbe costituire un problema essendo analoga a quella di molti partiti al governo dei principali Paesi europei. Ora la piattaforma democratica del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana è chiara, disponibile a chiunque la voglia leggere, diffusa nelle loro manifestazioni. Il programma da loro pubblicamente perseguito prevede: l’abolizione della repubblica islamica, sostituita con una repubblica democratica; l’abolizione della religione di Stato e la libertà di culto; la fine della legge islamica, la Sharia; la parità dei sessi in ogni ambito della società; l’abolizione dello sfruttamento sessuale delle donne; libertà di parola, associazione, espressione; la laicità dello stato e l’esclusione del clero sciita da ogni carica politica; il diritto di scegliere il proprio abbigliamento, in particolare se indossare o non usare il velo islamico; un sistema avanzato di solidarietà sociale, soprattutto nei confronti delle vedove e degli orfani; l’implementazione dei diritti umani, con l’abolizione della tortura e della pena di morte; la promozione di un Islam moderato, democratico, moderno e anti-fondamentalista; l’alleanza con i paesi occidentali e il riconoscimento dello Stato di Israele, accanto al sostegno dello Stato di Palestina.
Mettiamo quindi una parola chiara. Oggi serve che tutte le forze democratiche favoriscano la libera espressione del popolo iraniano, il ritorno alla democrazia, la possibilità per tutti di esserne protagonisti. Saranno gli iraniani a scegliere, domani, da chi si sentono meglio rappresentati. Ne discuteremo, certo, a Teheran, in un Iran finalmente liberato dalla violenza e dalla cappa di morte dell’attuale regime che, nella crisi drammatica che sta affrontando, è pronto a tutto, anche a insidiare pericolose fratture negli oppositori di cui nessuno di noi deve diventare strumento.
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