A oggi risultano undici i condannati per le manifestazioni che da settembre hanno messo a ferro e fuoco le piazza del Paese. Mohsen Shekari è stato il primo, condanna eseguita per impiccagione. Dalla magistratura iraniana non trapelano i nomi ma solo numeri. Amnesty International ipotizza che a rischiare l’esecuzione siano almeno 28. I nomi sono tenuti “volutamente nascosti dalle autorità della Repubblica Islamica”, così la ong Iran Rights Watch con base in Norvegia. “Lo scopo è ridurre i loro contatti con le famiglie, e impedire un equo accesso alla difesa”. Lunedì il capo della Giustizia iraniana Gholam-Hossein Mohseni-Ejèi ha annunciato che “le sentenze inflitte per le proteste saranno presto eseguite”.

Le due maggiori Ong dei diritti umani nel Paese, Hrana e Iran Rights Watch denunciano che le condanne a morte sarebbero state firmate in due diversi processi, il 30 novembre e il 5 dicembre. Tre dei condannati, segnala Irw, sono minorenni: diciassettenni arrestati a Karaj per avere ucciso, in una rissa, il basij – nome della milizia paramilitare – Ruhollah Ajamian, che ora nei comunicati della magistratura è preceduto da ‘martire’. Morto in servizio il 12 novembre, i ragazzini sono stati arrestati il 14, la condanna a morte — illecita secondo il diritto internazionale e la Convenzione sui diritti dell’infanzia, che l’Iran ha ratificato — è stata firmata in meno di un mese. Sul loro capo pende l’accusa di efsad-fil-arz, ‘corruzione sulla terra’.

Oltre ai tre diciassettenni, solo due nomi sono certi: Mohammad Ghobadlu, che avrebbe investito un’auto della polizia uccidendo un agente e Sahand Nour Mohammadzadeh, che avrebbe dato fuoco a un edificio pubblico. Il 5 dicembre poi il tribunale rivoluzionario della provincia di Alborz ha condannato a morte cinque persone – su sedici – imputati per l’uccisione di un poliziotto il 3 novembre, sulla strada tra Karaj e Qazvin, a nordovest della capitale, mentre manifestavano a un corteo per l’uccisione di un concittadino, Hadis Najafi, quando le forze di sicurezza li hanno attaccati. Anche in questo caso Irw parla di “confessioni estorte”.

Un altro manifestante, Majidreza Rahnavard, arrestato a Mashad, è stato condannato per moharebeh ‘inimicizia contro Dio’, la stessa accusa di Mohsen Shekari, per aver ucciso due guardie con un coltello. La sua esecuzione, che era prevista per novembre, è stata rimandata. Sul suo caso riferisce Amnesty International: “Arrestato il 17 novembre, appena 12 giorni prima del processo. I media statali hanno trasmesso riprese di interrogatori in cui lui bendato rendeva dichiarazioni autoincriminanti, con il braccio sinistro fasciato e ingessato”. Smentita invece, dopo giorni di mobilitazione anche internazionale, la condanna a morte dell’allenatrice di pallavolo e madre di tre figli Fahimeh Karimi. Nel carcere di Evin, nella capitale, era stata la compagna di cella dell’italiana Alessia Piperno, la travel blogger arrestata a settembre e liberata il 10 novembre.

Intanto continua la repressione violenta da parte delle forze di sicurezza iraniane nei confronti dei manifestanti, secondo le organizzazioni no profit che operano sul territorio gli agenti avrebbero iniziato a reprimere i cortei sparando a distanza ravvicinata, accanendosi contro le donne, colpendole al volto, agli occhi, al seno e ai genitali. La conferma arriva anche da alcuni medici che, secondo quanto riportato dal Guardian, hanno curato le ferite di tantissime donne che, soccorse in strada, sono state poi portate in luoghi protetti e al riparo delle forze di polizia, per essere medicate.

Fondamentale in questo senso, secondo Amnesty, è la presa di posizione da parte della comunità internazionale che deve condannare con fermezza quanto sta accadendo in Iran. La notizia della prima condanna a morte ha incontrato le critiche feroci di Stati Uniti ed Europa. In Italia il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha parlato di un “punto di non ritorno” e ha fatto sapere che “continueremo in ogni sede, con le nostre pressioni diplomatiche, a difendere la libertà e i diritti umani violati da Teheran”.

Il ministro degli Esteri iraniano ha risposto spiegando che “nel contrastare le rivolte, l’Iran ha mostrato la massima moderazione e, a differenza di molti regimi occidentali che diffamano e reprimono violentemente anche i manifestanti pacifici, l’Iran ha impiegato metodi antisommossa proporzionati e standard. Lo stesso vale per il processo giudiziario: moderazione e proporzionalità”.

Riccardo Annibali

Autore