Nell’intervista di Luca Sablone, la vice ministro del Lavoro, Maria Teresa Bellucci, ricorda giustamente la sequenza dei record – per quanto riguarda l’occupazione – che il governo vanta dopo ogni rilevazione periodica dell’Istat.

Secondo gli ultimi dati di febbraio, il numero di occupati è salito a 24 milioni e 332mila. La crescita rispetto al mese precedente coinvolge gli autonomi, che salgono a 5 milioni 170mila e i dipendenti a termine (2 milioni 710mila), mentre sono sostanzialmente stabili i dipendenti permanenti (16 milioni 451mila). L’occupazione aumenta anche rispetto a febbraio 2024 (+567mila occupati) come sintesi della crescita dei dipendenti permanenti (+538mila) e degli autonomi (+141mila) a fronte del calo dei dipendenti a termine (-112mila). Su base mensile, crescono il tasso di occupazione, al 63,0%, e quello di inattività, al 32,9%, mentre il tasso di disoccupazione diminuisce al 5,9%. C’è da dire, tuttavia, che si tratta di record ‘’personali’’ come quelli di un atleta che migliora la sua performance pur restando agli ultimi posti nella classifica.

Record limitati

Benché il tasso di occupazione dell’Italia, tra i 20 e i 64 anni, si sia attestato (nel 2023) al 66,3%, segnando un aumento maggiore della media Ue (+1,5 punti a fronte dei +0,9 Ue) resta tuttavia inferiore di quasi dieci punti dalla media Ue (75,4%). L’handicap più rilevante riguarda l’occupazione femminile. Nel nostro Paese, tra i 20 e i 64 anni, lavora solo il 56,5% delle donne, a fronte del 70,2% della media Ue. Il tasso di occupazione maschile è al 76% (80,5% in Ue). Il divario con le donne è di 19,5 punti, quasi il doppio della media Ue (10,3%). Eppure lo scorso anno, l’occupazione femminile ha corso più di quella maschile.

Crescita superiore a quella maschile

Nel 2024, il tasso di crescita delle lavoratrici (+2,3%) è stato di gran lunga superiore a quello degli uomini (+1,4%). Il trend è proseguito fino alle ultime rilevazioni: a febbraio 2025, rispetto alla medesima data del 2024, l’occupazione maschile è aumentata dell’1,8% e quella femminile del 3,1%. Nel medesimo periodo e in valore assoluto, dei 567 mila occupati in più 315 mila sono lavoratrici. Anche nel quinquennio 2019-2024, l’occupazione femminile ha registrato un incremento più sostenuto con un tasso di crescita del 3,9%, superiore al 3,2% degli uomini. La crescita occupazionale ha riguardato – come per gli uomini – in modo significativo le fasce d’età più adulte, in particolare le 55-64enni. Tra 2019 e 2024, l’incremento è stato di 354 mila occupate (+18,9%) mentre il tasso di occupazione è passato dal 43,9 al 49,1.

Fuori dal mercato del lavoro

Rimane, però, una domanda: per quali motivi in Italia, nonostante l’occupabilità femminile si sia evoluta in un contesto di declino demografico che sta determinando una crisi del mercato del lavoro sul versante dell’offerta, quasi metà delle donne in età di lavoro rimane inattiva? Qualche risposta a questo angoscioso interrogativo viene da un rapporto dell’Inapp “L’insostenibile inattività. Il lavoro delle donne che manca, nella transizione demografica in Italia’’ a cura di Valentina Cardinali. Il paper arriva a un aspetto cruciale dell’inattività delle donne: la loro disponibilità ad entrare nel mercato del lavoro è condizionata, pertanto non è sufficiente favorirne l’accesso (magari con incentivi per l’assunzione di lavoratrici) se non si affrontano le più importanti motivazioni, che inducono l’inattività anche in presenza di una disponibilità condizionata al lavoro.

Le fasce di età più problematiche

La soluzione necessaria è quella di affrontare i bisogni e le condizioni che le inducono a stare fuori dal mercato del lavoro. Sugli oltre 7 milioni e 800mila donne inattive in Italia, la quota stimata di forze lavoro potenziali è del 16%, corrispondente a più di 1 milione e 260 mila donne. La rilevanza di motivazioni d’indisponibilità (che per l’80% riguardano donne coniugate) emerge sin dalla classe 25-29 e raggiunge il suo picco tra i 30 e 40 anni, in quella fascia d’età definita sandwich generation, per la simultanea presenza di più esigenze di cura da gestire. Accudire i propri cari pesa complessivamente come motivazione per circa il 60% del totale. Il fattore “scoraggiamento”, ossia il ritenere di non riuscire a trovare un lavoro, incide solo sul 5% delle motivazioni e presenta la punta più alta per le donne tra i 45 e i 49 anni, per le quali l’ingresso o il rientro nel mercato del lavoro appare più problematico.