«Dove sta il ministro degli Esteri? Come può essere cieco e sordo davanti al sequestro di diciotto italiani in Libia?». Le domande che pone Patrizia Marrocco, deputata di Forza Italia, sono quelle che pongono le famiglie dei diciotto pescatori prigionieri dal 1° settembre del generale Haftar, a Bengasi. I miliziani accusano i due pescherecci, salpati dal trapanese, di aver pescato in acque territoriali libiche. «Da due mesi ormai diciotto lavoratori che erano usciti con le loro due barche per pescare, non tornano a casa», dice l’onorevole Marrocco a Il Riformista. Alle famiglie non arriva alcuna informazione. La Farnesina tace, dall’unità di crisi non rispondono. «Di Maio brilla per assenza. Parla un po’ di tutto, si interessa di questioni locali in tutta Italia, ma non gli chiedete di crisi internazionali e tantomeno di Libia, perché non sa o non vuole parlarne».

I familiari dei sequestrati sono disperati. Al dramma si somma la disattenzione delle istituzioni e di buona parte dei media. La crisi Covid assorbe tutto, lasciando i pescatori siciliani in un cono d’ombra inquietante. «Molto inquietante», puntualizza Marrocco. «Perché dalla sola telefonata fatta in due mesi ci hanno detto di non essere trattati male, forse per non far preoccupare troppo le famiglie. Ma è arrivata una foto di cinque di loro. Zoomando si sono notati segni violenti. Graffi, tagli, segni di catene sui corpi». Di Maio tace. E allora le famiglie hanno piantato le tende a Roma, proprio davanti a Palazzo Chigi, in segno di pacifica protesta. Il premier Conte le ha incontrate, lì e ha rassicurato tutti. «Ma non le ha nemmeno volute ricevere nei suoi uffici a Palazzo Chigi. Ci rendiamo conto?», fa notare la parlamentare azzurra.  Le famiglie dei sequestrati non si arrendono. Sabato hanno condotto una “marcia per la libertà” da Albano laziale a Montecitorio.

Trenta chilometri per scandire le loro ragioni: «Da 55 giorni non abbiamo alcun dato certo di come stiano i nostri pescatori – continuano i familiari – le risposte arrivano sempre uguali, dal primo giorno ci dicono che stanno bene, che sono trattati bene, che mangiano, che hanno ricevuto i farmaci di cui qualcuno di loro ha bisogno, ma mai abbiamo avuto una prova certa delle loro buone condizioni. Da 35 giorni le mogli e le figlie dei nostri connazionali presi da Haftar dormono ogni notte davanti al Parlamento. Tra loro una signora di 74 anni, le figlie 20enni di due marittimi, diversi bambini. «Non è mai sceso nessuno a darci conforto, a proporci una sistemazione, a dirci di non stare al freddo, a digiuno, a rassicurarci con risposte più concrete, dirette. A darci una parola di conforto». Dietro le quinte, un contributo concreto alle famiglie accampate lo avrebbero dato alcune parlamentari, come le siciliane Bartolozzi, Prestigiacomo e Siracusano, oltre a Marrocco che è eletta nel Lazio. E in aula Forza Italia ha interpellato il ministro degli Esteri con un question time.

«Il nostro caro ministro – dice l’armatore di una delle due navi, Marco Marrone – non si è preoccupato mai una volta di passare da noi e dire di andare via, a proporci un contatto diretto. Ci sarebbe bastato anche questo, ma non c’è stato, e noi continueremo finché non verranno rilasciati i nostri pescatori». La Farnesina assicura: le notizie sono confortanti, le trattative richiedono discrezione. Ma aver tagliato i contatti con i familiari appare atipico, nella storia della gestione delle crisi da sequestro in Libia. Haftar e Serraj hanno firmato venerdì a Ginevra uno storico accordo per il cessate il fuoco permanente, accolto con ottimismo dalle cancellerie europee che hanno seguito, con le Nazioni Unite, il negoziato. «Chiediamo ad Haftar come parlamentari italiani – dice ancora l’onorevole Marrocco – se vuole dare seguito vero al cessate il fuoco, di interrompere le ostilità anche verso i pescatori italiani».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.