Trattenuti a Bengasi, non si hanno loro notizie
Di Maio e il governo brancolano nel buio ma da 38 giorni 18 pescatori sono ‘sequestrati’ in Libia
Con la giornata odierna sono trascorsi ormai 38 giorni da quando 18 pescatori sono in stato di fermo in una caserma di Bengasi, città nel’est della Libia. Oltre un mese in cui gli equipaggi (composti da 8 italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi), che erano a bordo di due pescherecci partiti da Mazara del Vallo e bloccati dalle autorità libiche lo scorso primo settembre a una quarantina di miglia dalle coste della Libia, praticamente non hanno più contatti con l’Italia.
IL GIALLO DELLA DISTANZA DALLA COSTA – Secondo la ricostruzione più ‘accurata’ dei fatti, i due pescherecci “Medinea” e “Antartide” sono stati fermati della autorità che rispondono al maresciallo Khalifa Haftar, che controlla quell’area del paese, a circa 40 miglia nautiche dalla costa. Proprio la distanza dalla costa libica è un punto chiave della vicenda: uno Stato esercita la propria sovranità nel cosiddetto mare territoriale, una porzione di mare che si estende per un massimo di 22 chilometri, pari a 12 miglia nautiche. Ogni Stato deve però consentire il passaggio di navi stranieri al suo interno, purché non rappresentino un rischio per la sicurezza nazionale. Tra le 12 e le 24 miglia invece uno Stato ha poteri di controllo sulle navi stranieri per evitare che queste commettano reati nel proprio territorio. L’intervento libico è invece avvenuto a circa 40 miglia dalla terraferma, all’interno di una fascia marittima che da tempo la Libia rivendica come propria zona economica esclusiva.
IL SILENZIO CON I FAMILIARI – I familiari dei pescatori che da 38 giorni sono ‘sequestrati’ in Libia hanno più volte chiesto l’intervento del Governo per sbloccare la situazione, organizzando tra le altre cose un presidio davanti la Camera dei Deputati a Roma, durato 13 giorni, occupando per protesta la sala consiliare del Comune di Mazara del Vallo.
L’unico contatto avuto dai pescatori con l’Italia è quello stabilito con una telefonata da Pietro Marrone, comandante del peschereccio Medinea, alla madre. “Continuiamo a non avere contatti con i nostri pescatori che il 20 ottobre saranno processati a Bengasi. Ci vengono date rassicurazioni, ma non siamo riusciti né a sentire i marittimi né a ricevere una loro fotografia”, ha detto al Giornale di Sicilia Marco Marrone, armatore dello stesso peschereccio e portavoce delle famiglie dei pescatori. Dalla Libia inoltre arriva l’indiscrezione secondo la quale le autorità locali accusano i pescatori di aver trasportato sostanze stupefacenti sulle due imbarcazioni, accusa che per i familiari dei pescatori è falsa.
LE ‘MINACCE’ LIBICHE – A mettere ansia sono anche le parole del generale Khaled al-Mahjoub, portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico guidato da Haftar. In una intervista concessa a ‘Quarta Repubblica’ il militare ha sottolineato che i pescatori italiani “saranno sottoposti a un procedimento da parte della Procura generale competente e saranno giudicati secondo la legge dello Stato libico”.
IL RUOLO DI DI MAIO – In tutto ciò emergono le difficoltà di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri che ha promesso ai familiari l’impegno del Governo per una risoluzione del caso, ma che da quasi 40 giorni brancola nel buio. Secondo il Fatto Quotidiano, giornale vicino ai 5 Stelle, i due pescherecci erano stati fermati poche ore dopo la ripartenza verso l’Italia dello stesso Di Maio, andato in Libia per un incontro prima col primo ministro Fayez al Serraj, a capo del governo legittimato dall’Onu, e poi con Aguila Saleh, il presidente del parlamento libico orientale che appoggia Haftar.
Sullo sfondo c’è la questione avanzata dal giornale libico Libyan Address Journal, che ha rivelato come Haftar vorrebbe liberare i 18 pescatori in cambio della scarcerazione di quattro scafisti libici, condannati a 30 anni di carcere in Italia per la morte di 49 migranti. Richieste che il ministro per Rapporti col parlamento Federico D’Incà, nel corso del question time alla Camera tenuto ieri, ha definito “né confermate né in alcun modo formalizzate”.
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