Aveva sconfitto mostri, lo ha ucciso l'egoismo
La tragedia di Abou: in fuga dalle torture dei libici, ucciso dall’egoismo degli italiani
I Berberi sono un popolo folle, convinti di rappresentare l’umanità archetipa, il primo popolo ad essere sorto sulla terra, planando dalle stelle. La loro follia più grande è la lotta senza sosta contro il deserto: affrontano con la spada la sabbia, convinti che arriverà il giorno della vittoria. Girano il Sahara dal fondo delle ere, e della loro follia hanno infettato tutti i popoli che si affacciano sul deserto, addirittura tutta l’Africa. Il loro male attacca chiunque abbia in mente di compiere una grande impresa. E l’impresa più grande degli africani è diventata una sola: l’Europa. Abou era già folle a 15 anni, forse ci era nato con la follia, sotto la coda a doppia punta della costellazione dell’aquila, l’augurio che rende immortali.
E solo chi è convinto di essere immortale attraversa l’inferno di fuoco del Sahara, sopravvive all’inferno di botte della Libia, e affronta la distesa di sale verde del Mediterraneo. E Abou aveva affrontato tutto con serenità: la sete, la fame, le torture. Come tutti i disperati che arrivano da Sud si sentiva immortale. Aveva vinto il deserto, le offese, il mare. Era salito felice sulla Open Arms che l’aveva tolto dall’acqua, era trasbordato tranquillo sulla nave Quarantena Allegra. Senza fiato, con solo la pelle intorno alle ossa, si era lasciato portare in ospedale. E Abou ce l’aveva fatta contro tutte le battaglie più dure. Ma l’Occidente è un mare beffardo, costruisce abissi a due metri dalla riva. Abou ci è finito nell’abisso, perché la follia è solo un sogno, non è un documento valido in Europa.
Un bambino può abbattere i mostri peggiori, quello che non riuscirà mai a sconfiggere è il cinismo. E Abou, con i suoi 15 anni, non lo poteva sapere che deserto, torture, mare, sono niente. Che il mostro dei mostri è l’egoismo umano. Il suo è stato fin dall’inizio, dalla Costa D’Avorio, un viaggio verso la morte, un’agonia dilatata che dal 18 settembre è salita con lui sulla nave della ONG, la Open Arms, che con lui ha trasbordato sulla nave quarantena italiana, e gli ha fatto compagnia sull’ambulanza che lo ha portato in ospedale. Abou è morto di stenti, di botte, lasciato nelle mani di una morte che gli era dipinta in faccia, nel corpo. Sarebbe bastato guardare. Non c’erano occhi per un mucchio d’ossa, talmente folle che si era messo in testa di compiere la grande impresa a 15 anni.
Gli hanno mentito tutti: le leggende berbere, la costellazione dell’aquila, le stelle. Sarebbe bastato solo un po’ di cura, di umanità, per trasformare in realtà le favole di una speranza bambina. Abou è arrivato in Italia in un tempo sbagliato, il peggiore fra tutti i tempi passati per chi ha bisogno di un rifugio. I suoi fratelli, a migliaia, sono già in viaggio, in corsa per l’impresa; neppure loro lo sanno che il mostro peggiore lo incontreranno quando ormai si sentiranno in salvo.
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