Il costo sarà di 168 milioni di euro
Da ricognizione ad armati, il ministero della Difesa trasforma i droni: sono pronti a sparare
La trasformazione degli aerei da ricognizione senza pilota in bombardieri teleguidati, anticipata dal mensile specializzato Rid (rivista italiana della Difesa), era ben nascosta nel Documento programmatico pluriennale redatto nello scorso luglio che contiene i piani di sviluppo dei prossimi anni. L’operazione del ministero della Difesa che vede l’Italia dotarsi di una delle armi più controverse usate negli ultimi conflitti, avrà un costo 168 milioni di euro, e se da una parte diminuisce l’impiego di uomini ed il conseguente rischio di fatalità per i militari, può come a volte accaduto dall’altra causare errori e vittime innocenti.
Il capitolo che li riguarda, sommerso nelle oltre 250 pagine del report, si intitola “MQ-9 payload”, dove MQ-9 indica i droni Reaper. I General Atomics MQ-9 Reaper conosciuto dagli addetti ai lavori come ‘Predator B’ fu inizialmente progettato per la sorveglianza a lunga autonomia, fino a 28 ore, a elevate altitudini, fino a 15 mila metri. Il costo unitario è di circa 10 milioni di dollari, ha un’apertura alare di 20 metri e una velocità operativa di poco inferiore ai 500 km/h. La versione in dotazione al nostro esercito è equipaggiata con sensori elettrottici, scanner Ir, radar ad apertura sintetica Sar.
I droni italiani disarmati sono stati schierati in Libia, Afghanistan, Kosovo e Iraq, ma hanno anche effettuato molte missioni umanitarie sulle rotte dei migranti, con l’operazione ‘Mare Nostrum’. “Un’operazione militare ed umanitaria prevede il rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare per incrementare il livello sicurezza delle vite umane”, dichiarò l’allora ministro della Difesa Mario Mauro, che decise di impiegare questa tecnologia al termine del vertice di Palazzo Chigi sull’emergenza immigrazione.
L’ufficialità è arrivata da pochi giorni ma il ‘permesso’ chiesto dal nostro governo agli Stati Uniti nel 2010 di armare i Reaper arrivava nel momento di massimo impegno militare italiano contro i talebani e fu respinto perché la tecnologia era ancora top secret. Il via libera è arrivato solo nel 2015, quando però con la riduzione delle attività militari all’estero l’armamento non fu più considerato prioritario. Adesso che le lezioni degli ultimi conflitti come quello libico e del Nagorno Karabach sono diventati più pressanti, hanno spinto lo Stato maggiore a procedere facendo diventare così l’Italia il terzo Paese della Nato, dopo USA e Gran Bretagna, ad usare l’MQ-9 armato, anche se ancora non è stato reso noto quali saranno i sistemi d’arma che trasformeranno i nostri droni in sistemi d’attacco senza pilota. Potrebbero essere missili Hellfire americani, dal 2015 la Casa Bianca aveva dato il via libera, ma anche essere missili di fabbricazione britannica o israeliana.
Nella mezza pagina dedicata a questo annuncio nel Documento programmatico pluriennale si legge: “La finalità del programma risiede nel garantire l’adeguamento dei sensori, dei payload e dei sistemi di comando e controllo agli ultimi standard tecnologici, assicurando un grado di sviluppo prestazionale in linea con l’output capacitivo ed operativo richiesto dalla Difesa in relazione agli attuali e futuri scenari di riferimento. In particolare, il velivolo garantirà incrementati livelli sicurezza e protezione nell’ambito di missioni di scorta convogli, rendendo disponibile una flessibile capacità di difesa esprimibile dall’aria. Introdurrà, inoltre, una nuova opzione di protezione sia diretta alle forze sul terreno che a vantaggio di dispositivi aerei durante operazioni ad elevata intensità/valenza. Il programma è di previsto finanziamento sul bilancio del Ministero della Difesa per mezzo delle risorse recate da capitoli ‘a fabbisogno’. Il programma ha un fabbisogno complessivo stimato in 168 milioni di euro di cui vede finanziata una tranche di 59,0 milioni distribuiti in 7 anni. È in corso l’iter di approvazione del previsto DM/DI ai sensi dell’art.536 del C.O.M..”
Protagonista della guerra al terrorismo come arma finale di attacchi contro i leader di Al Qaeda ha anche causato errori che hanno provocato morti civili e creato situazioni di grande tensione tra gli Stati Uniti e per esempio, il Pakistan. Fu proprio un MQ-9 americano decollato probabilmente dal Qatar a sparare, su ordine dell’amministrazione Trump, i quattro missili anticarro AGM-114R Hellfire che hanno colpito il convoglio blindato del generale iraniano Qassem Soleimani capo dal 1998 delle Guardie della rivoluzione iraniane, nei pressi dell’aeroporto di Baghdad in Iraq. Conosciuto anche come il ‘Mietitore del Pentagono’, il Reaper è stato usato più recentemente nella rappresaglia statunitense all’attacco per mano dell’Isis-K all’aeroporto di Kabul. Meno di 24 ore dopo le parole di Joe Biden che disse: “Sappiamo dove si trovano le menti dell’attacco, gliela faremo pagare”, è partito il raid che ha ucciso due membri di ‘altro profilo’ dello stato islamico del Khorasan, braccio afghano dell’organizzazione.
© Riproduzione riservata