“Una berlusconiana contro la mafia”
Da Rita Dalla Chiesa ad Annarita Patriarca, parte la gogna di “Fatto” e “Domani”: la lista degli impresentabili per gli amanti delle manette
Sarcasmo: “Una berlusconiana contro la mafia”. Lo schiaffo arriva violento su Rita Dalla Chiesa. La colpisce in pieno, come una mitragliata di Cosa Nostra. Mira a cancellarla come persona, come seria professionista, e anche come donna che ha sofferto nella tragedia che ha colpito lei e la sua famiglia dopo l’assassinio del generale nel 1982. La sua candidatura nelle liste di Forza Italia per le prossime elezioni politiche del 25 settembre annulla tutto, una storia, una vita. È così che Rita diventa un’impresentabile. Indegna del ricordo, persino.
«La Rai trasmetterà in occasione dei 40 anni della strage di Palermo, una nuova serie che racconta il generale, interpretato da Sergio Castellitto, mentre la figlia sarà in campagna elettorale sotto la bandiera di Forza Italia, il partito di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi». Così scrive di lei Nello Trocchia. Se si può dare un voto allo schifo, questa volta sul podio più alto nel festival delle manette non c’è il Fatto di Marco Travaglio ma Stefano Feltri con il suo Domani. È una gara a tre, con il fanalino di coda della Notizia. Il brodo è sempre lo stesso, quello che si presenta come uno stantio ritornello a ogni tornata elettorale. E qualcuno, i famosi più puri, presenta il catalogo di coloro che, a loro sindacabile giudizio, sono gli “impresentabili”.
La base di partenza è naturalmente l’intervento della magistratura, ma ormai non basta più. Tanto che il Fatto quotidiano, il cui direttore è il vero papà dei primi della classe della verginità morale, ha addirittura stilato le tre categorie dei bocciati: condannati, inquisiti e “inopportuni”. Ha però dimenticato i parenti. Ci pensa La Notizia, che ha fatto ieri il vero scoop, denunciando lo scandalo della candidatura al Senato di Antonia Postorivo. Del tutto secondario il fatto che si tratti di un’avvocata costituzionalista e anche magari che in Parlamento in questo momento potrebbe essere molto utile un ruolo professionale come il suo. Quel che conta è una condanna, non definitiva, di suo marito per concorso esterno, il famoso reato che non c’è ma che, soprattutto al Sud, difficilmente viene negato ai politici. «Insomma –scrive il quotidiano, con il solito linguaggio un po’ questurino- per quanto la Postorivo sia estranea alla vicenda e che sia perfettamente abile e arruolabile come candidata, ciò non toglie che…». Eccetera.
Ma ecco che Travaglio rilancia subito e triplica l’impresentabilità di un’altra candidata, che porta non solo sul suo corpo le stimmate del marito ma nel dna le macchie del padre. Annarita Patriarca è una consigliera regionale campana, la più votata con 11.000 preferenze, ma questo i lettori del Fatto non possono saperlo, perché viene raccontato loro chi è suo padre e chi è suo marito. Lei non esiste se non come “figlia di “ e “moglie di”. Inoltre, si suppone sia incensurata e non abbia carichi pendenti, visto che l’articolo non ne parla. In questo caso non conta. Pure è un’altra impresentabile. Certo che questi illustri direttori di quotidiani non scherzano quanto a misoginia! Dobbiamo però a questo punto fare una piccola rettifica. Perché sullo scaffale del Fatto, dove sono messe in bella mostra anche le foto segnaletiche di “condannati, indagati e inopportuni”, almeno una è stata salvata.
È vero che il nome di Chiara Appendino, candidata dal Movimento cinque stelle, in fondo, ma proprio in fondo all’articolo c’è, con la sua condanna in primo grado a un anno e sei mesi per la tragedia di piazza San Carlo a Torino nel 2017. Ma almeno a lei, contrariamente alle altre, è stata risparmiata la gogna dell’immagine, oltre che commento piccante. Bravo Marcolino, almeno una l’hai salvata. Inutile soffermarsi, mentre si sfoglia l’album di famiglia degli impresentabili, sugli amorevoli ritratti dedicati a Silvio Berlusconi, che rientrerà al Senato dopo quel voto che lo cacciò nonostante i tanti costituzionalisti che davano un’interpretazione negativa sulla retroattività della legge Severino. Più che la condanna per frode fiscale, o i ridicoli “processi Ruby”, è la militanza antimafiosa, a farla da padrone. Ed è la stessa Rita Dalla Chiesa, intervistata dal Quotidiano nazionale, la prima a scacciare le insinuazioni come mosche fastidiose.
«Mai creduto alle accuse di mafia», sentenzia sicura, «hanno avuto paura di lui solo quando è entrato in politica». Se “Berlusconi finanziava la mafia”, naturalmente ce ne è anche per Salvini e Renzi, impresentabilissimi, uno per la questione delle navi di immigrati, l’altro per Open e il sospetto di finanziamento occulto al Pd. Ma son rose e fiori –infatti se ne occupano solo i tre quotidiani abbonati al festival delle manette- rispetto a quel che sta succedendo in Sicilia. Dove il Pd è stato l’abbandonato da un Conte che giustamente rivendicava «Non posso candidare Scarpinato e Cafiero de Raho e poi accettare impresentabili in Sicilia». Così, incassato per sua fortuna un “si” a denti stretti da Caterina Schinnici, la figlia del magistrato assassinato dalla mafia, che era stata indicata dalle primarie comuni come candidata a governare la Sicilia, e che non abbandona la corsa, il Pd sta vivendo i tormenti del giovane Werter.
Ha già dovuto rinunciare a correre il capogruppo del partito all’assemblea regionale Giuseppe Lupo, e pare traballi la posizione del segretario regionale Antony Barbagallo. Il quale non trova di meglio, per salvarsi la pelle, che ingaggiare la rincorsa del peggior grillismo, affannandosi a dichiarare: «La decisione di non inserire nelle liste candidati sottoposti a procedimenti penali è da attribuire esclusivamente al Pd. È una linea condivisa da me e dal segretario nazionale». Chissà quale manina aveva prima inserito i nomi che ora sono spariti. Traballano le posizioni. E anche Enrico Letta, tra la Sicilia e il viterbese, non si sente molto bene.
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