Strana campagna elettorale, questa dell’estate 2022. Non si è ancora asciugato l’inchiostro –come dicono quelli colti- con cui ho difeso Giorgia Meloni dalla stupidità dell’antifascismo militante che l’ha colpita, che la stessa presidente di Fratelli d’Italia mette insieme, con una bella pagina su Libero, almeno dieci buone ragioni per non essere votata da tutti quelli che hanno a cuore lo Stato di diritto. Strana campagna elettorale.

Da sinistra fanno sapere che l’Occidente intero, a partire dagli Stati Uniti, è preoccupato dalla possibilità (per ora solo nei sondaggi) che la prima donna nera, di presunto animus più che di colore della pelle, possa accedere a Palazzo Chigi. E lei che risponde con un sacco di cose false e banali sulla morte di Borsellino e la necessità di “trovare i colpevoli”. Cioè risponde all’antifascismo militante con la più stupida e antistorica antimafia militante. Neanche fosse una di una certa sinistra. Giorgia Meloni è una dirigente politica prestigiosa e con le idee chiare. Il suo scritto di ieri merita una risposta seria, a prescindere dal fatto che è innanzi tutto molto disinformato. Oltre che molto pieno di omissioni, come quando si dice “Abbiamo il dovere morale e materiale di contribuire alla ricostruzione di fatti che la mafia ha volutamente insabbiato, anche trovando ignobili sponde in pezzi deviati dello Stato”. Eh, no.

La mafia non ha insabbiato proprio niente, e lo Stato non si è espresso tramite “pezzi deviati”, ma è entrato dentro le porcherie dei vari processi Borsellino con tutti i piedi e le scarpe. L’articolo inizia con un ricordo personale di una Giorgia ragazzina davanti al cui sguardo si snodano le immagini televisive della bomba di via D’Amelio. E un impegno, preso quel giorno, quel 19 luglio del 1992, quello di entrare in politica per lottare contro la mafia. Commendevole, soprattutto per una giovane donna non siciliana, persa in questi ricordi trent’anni dopo e con un’uscita forte a inizio di campagna elettorale. Il primo impegno, sancito in Parlamento anche con due proposte di legge, di cui una importante a modifica dell’articolo 27 della Costituzione, è per la difesa dell’ergastolo ostativo. Cioè quella condanna che non solo noi del Riformista, ma anche la Corte Costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo considerano una forma di pena di morte, di morte sociale. So di dire una cosa forte, ma chi difende una pena eterna senza vie d’uscita, deve avere il coraggio di sostenere anche la pena capitale, che del resto esiste non solo nel mondo islamico ma anche in alcuni degli Stati americani.

Conosco l’obiezione: se il condannato all’ergastolo ostativo vuol vedere una via d’uscita, basta che si trasformi in “pentito”. Ancor più facile la contro-obiezione. Non tutti hanno qualcosa da dire, esistono anche gli innocenti, poi esiste la paura delle ritorsioni nei confronti dei familiari, poi non tutti se la sentono di accusare altri. E comunque, per sostenere qualunque tesi, non è necessario aggrapparsi sempre al santino di Giovanni Falcone. Soprattutto perché il suo provvedimento lasciava la possibilità di accedere ai benefici penitenziari anche senza la collaborazione. Ipotesi che venne poi esclusa da un Parlamento, l’ultimo della prima repubblica, disorientato non solo per le stragi mafiose ma anche per l’assalto dei pubblici ministeri di Mani Pulite. Ma il più debole fu il governo, che non riusciva a sconfiggere Cosa Nostra sul piano militare, visto che i boss erano tutti latitanti, e pensò di dare un segnale di quella forza che non aveva con le leggi speciali e le torture nelle carceri di Pianosa e Asinara.

Non amo scrivere in prima persona, ma questa volta lo faccio, perché c’ero in quel Parlamento e anche in quelle carceri. Ho assistito giorno dopo giorno alla costruzione, a suon di botte e minacce, del falso pentito Scarantino. La seconda morte di Borsellino, il famoso “depistaggio più grande della storia”, è stato voluto e creato in quei giorni, insieme all’ergastolo ostativo e all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario. Cara Giorgia, consentimi la confidenza, se vuoi davvero impegnarti sulla verità per Borsellino, devi partire da lì. Perché ci sono gli atti processuali e le sentenze. Non è cosa da campagna elettorale, mi rendo conto.

Ma ci sono i nomi e i cognomi dei magistrati e dei dirigenti di polizia che hanno partecipato al banchetto del depistaggio. Non sono “corpi separati”, ti assicuro. C’è la frettolosa archiviazione del “processo mafia-appalti”, su cui indagavano Falcone e Borsellino. C’è la sentenza del processo “trattativa”, altro depistaggio di Stato, che ha assolto gli ex generali dei Ros Mori, Subranni e De Donno, le cui divise furono per anni e anni infangate dalla subcultura dell’antimafia militante, e che oggi noi tutti insieme abbiamo il dovere di onorare. E c’è anche l’ultima sentenza, quella che ha dovuto constatare la prescrizione dei reati contestati ai “pesci piccoli” delle forze dell’ordine.

Tutto scritto, nero su bianco. E lasciamo perdere, per favore, la fantasia di quel “papello” di Totò Riina che non è mai esistito, se non nella fantasia di un personaggetto come Ciancimino junior, che è stato per questo anche condannato. Anche in questo caso ci sono le sentenze. Mi spiace davvero che tu sia così disinformata. Su fatti lontani, ma anche su quelli più vicini, come quelli degli anni scorsi, quelli infausti della pandemia. Qui mi appello al tuo senso di umanità. Mentre tutti eravamo chiusi nelle case e se al supermercato una persona sternutiva veniva guardata e allontanata come un untore della peste seicentesca, puoi capire come ci si sentisse nel chiuso di un carcere, di una cella?

Sicuramente saprai che l’Europa (visto che sei anche presidente del partito conservatore) ha più volte condannato l’Italia per la ristrettezza fisica delle sue celle nelle carceri. Puoi quindi immaginare come si sentisse un detenuto in quei giorni? Sto parlando di un detenuto, un essere umano, uomo o donna, non di un mafioso o un rapinatore. Un essere umano, impaurito per il morbo e per la vita, come lo eravamo tutti noi. Un essere rinchiuso può reagire anche con la violenza, che va condannata e sanzionata. E così è stato. Ma nelle rivolte delle 50 carceri in quei giorni di marzo ci furono anche 14 morti, e molti prigionieri picchiati dagli agenti.

Non c’è nessuna inchiesta che abbia portato la prova di una regia mafiosa su quelle rivolte. Perché insisti? Mi tocca infine anche difendere il ministro Bonafede, chiedo scusa ai miei pochi lettori, perché il decreto “cura Italia” non ha affatto scarcerato, come scrisse Repubblica e come tu sembri credere, 376 mafiosi. I condannati per mafia erano solo tre, due dei quali malati terminali. Si trattava di sospensioni temporanee della pena chieste da decine di giudici di sorveglianza. Nessuno è scappato, quando il decreto è stato ritirato. Il mio spazio è finito. Vuoi fare una commissione d’inchiesta sulla strage di via D’Amelio? Benissimo, ma partiamo dal più grande depistaggio della storia e chiedi a chi sarà il presidente di convocare subito il magistrato Nino Di Matteo. Così entriamo nel vivo. E lascia perdere quel migliaio di detenuti al carcere ostativo. Hanno fatto tanto male, ma dopo trent’anni sono in gran parte persone diverse, ti assicuro. Cerca di credermi, è così. Buona campagna elettorale.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.