Joe Biden ha detto che molti Paesi arabi, a cominciare dall’Arabia Saudita e compreso l’Egitto, sono pronti a riconoscere Israele quando la guerra di Gaza sarà finita e si troverà l’accordo per una soluzione a due Stati. Quanta probabilità realistica contiene questa dichiarazione? È certamente importante che il Presidente – e candidato futuro Presidente – degli Usa, sia ottimista perché la sua espressione di ottimismo, o almeno di speranza, è un fatto politico. Proviamo a guardare la realtà geopolitica della guerra che Israele combatte dal 7 ottobre 2023.

Prima domanda: è realistico prevedere e realizzare due Stati indipendenti e separati, uno che già c’è e si chiama Israele e uno che è atteso dal 1948 e si dovrebbe chiamare Palestina? Il primo luglio del 1994, l’ho già ricordato, come giornalista inviato della Stampa ero a Gaza con gli inviati del mondo intero, per un evento (si credeva allora) di portata storica: il Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin avrebbe consegnato a Yasser Arafat, leader dell’OLP, la Striscia di Gaza che era stata strappata da Israele all’Egitto nella guerra del 1967.

Gaza sarebbe stata il primo nucleo dello Stato palestinese previsto dagli accordi di Oslo firmato dagli stessi protagonisti un anno prima. Abbracci, inni e rulli di tamburi, gli israeliani residenti a Gaza furono gradualmente cacciati con la forza dalla polizia israeliana come quelli che erano andati a colonizzare il Sinai, restituito agli egiziani in cambio del riconoscimento di Israele e con un trattato di pace tuttora valido e funzionante.

Quando l’ultimo israeliano, civile e militare, lasciò Gaza, il gruppo politico militare Hamas si insediò nella Striscia, fece tagliare la gola a tutti gli uomini di Arafat, indisse elezioni che stravinse con violenza documentata e che fece subito saltare gli accordi di Oslo, garantiti dagli Stai Uniti. Hamas non era l’Olp, oggi Autorità nazionale palestinese, e non voleva allora come non vuole oggi uno Stato palestinese, ma l’annientamento di Israele perché “dalla riva del Giordano alla riva del mare, deve esistere soltanto la libera Palestina”.

Il piano che auspica Biden prevede che Hamas sia politicamente ridotto al silenzio e che l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, che oggi controlla pochissimo il West Bank, torni al comando di Gaza alla fine della guerra e chieda lo Stato palestinese. Dopo il 7 ottobre e la guerra, ma anche prima, Israele si era totalmente raffreddato rispetto alla grande utopia dei due popoli e due Stati. Anzi, finché governa Netanyahu si può esser certi che non succederà. Netanyahu e il suo governo di coalizione vogliono vedere annichilita, cioè distrutta fisicamente, la forza militare di Hamas e si apprestano per la fine di aprile a condurre l’ultima operazione a Rafah, per la più sanguinosa delle battaglie, quella che tutto il mondo occidentale, Stati Uniti per primi, sconsigliano a Israele. Lo Stato ebraico è oggi solo e isolato. Tuttavia le parole di Biden hanno un significato e hanno valore proprio perché costituiscono l’offerta, che se dovesse essere accettata da Netanyahu allora si potrebbe rinunciare all’assedio di Rafah, accettare il cessate il fuoco con scambio di ostaggi civili catturati il 7 ottobre, contro detenuti palestinesi e chiudere la guerra.

In cambio, ripartirebbero i famosi e momentaneamente sospesi “Accordi di Abramo” fra Arabia Saudita e Israele che dovrebbero includere il Qatar, e tutti gli Stati arabi che hanno optato per una scelta occidentale guidata dagli americani. Questa è la coalizione economica ma anche politica e sicuramente pure militare con cui l’Occidente intendeva ed intende isolare l’Iran, oggi alleati sia della Russia cui fornisce droni per sconfiggere l’esercito ucraino ormai quasi disarmato e privo di munizioni, sia del fronte schierato contro Israele.

L’Iran è la grande potenza sciita, nemica dei sunniti e in particolare nemica dei più odiati dei sunniti, ovvero gli arabi di Riad: l’Arabia Saudita ha da anni scelto definitivamente l’alleanza occidentale, perché tutti i principi e la classe dirigente saudita è stata educata nelle migliori università americane e inglesi, puntando su una modernizzazione futuristica con largo uso di tutte le nuove tecnologie specialmente quelle derivate dall’Intelligenza Artificiale, da condividere con Israele che ha sviluppato le migliori start-up e che ha un ruolo leader nella ricerca scientifica.

Fino al 6 ottobre il mondo ha aspettato l’annuncio degli “Accordi di Abramo” fra Israele e l’Arabia Saudita con la partecipazione di molti emirati, dell’Egitto e in genere del mondo arabo sunnita. Secondo la versione più accreditata, Teheran aveva deciso di bloccare questo l’occidentalizzazione sunnita guidata da Israele e Stati Uniti radunando le milizie Hezbollah in Libano e poi concordando il feroce attacco di Hamas. Una delle più gravi accuse contro cui Netanyahu dovrà difendersi è quella di avere ignorato l’allarme dato ad Israele sui piani di Hamas, che lui avrebbe dismesso con un’alzata di spalle perché, secondo lui, Hamas non avrebbe mai avuto la capacità di un’azione come quella che poi devastò Israele e interrogò le coscienze del mondo.

L’operazione del 7 ottobre, specialmente nelle sue modalità più infami e infernali destinate a non impedire alternative a una guerra mortale, fu realizzata con il consenso dell’Iran, da cui dipendono gli Houthis che bloccano la navigazione nel Mar Rosso, le milizie filo sciite dell’Iraq e l’esercito professionale degli Hezbollah. Biden ha visto che una politica appiattita su Israele gli porta via milioni di voti e ieri ha rilanciato la grande speranza: pace e due Stati. Il mondo aspetta di sapere quali sono le novità che sostengono l’ottimismo di Biden.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.