Julian Assange non verrà estradato, almeno per ora, negli Stati Uniti dove è accusato di spionaggio. La Corte di Londra apre all’appello contro l’estradizione negli Stati Uniti del giornalista e fondatore di Wikileaks anche se prima, i due giudici dell’Alta corte londinese, si riservano di “ottenere garanzie” dagli Stati Uniti e, in caso contrario, concederanno alla difesa di Assange il diritto di presentare appello contro la decisione della giustizia britannica di accogliere la richiesta di estradizione presentata dal governo americano. La prossima udienza è fissata il 20 maggio. Giudici che – così come riporta la Bbc – “danno al governo americano tre settimane per garantire che Assange possa fare affidamento sul primo emendamento della Costituzione americana”, quello che garantisce la libertà di parola.

“Se tali assicurazioni non verranno fornite, verrà concesso il permesso di ricorrere in appello e poi ci sarà un’udienza di appello”, si legge in una sintesi della sentenza. I giudici tuttavia hanno respinto alcuni motivi della richiesta di appello, comprese le argomentazioni di Assange secondo cui sarebbe stato perseguito a causa delle sue opinioni politiche. Dame Victoria Sharp e il giudice Johnson hanno quindi messo in programma la nuova udienza il 20 maggio 2024 per decidere se gli Stati Uniti avranno soddisfatto le condizioni richieste.

Stella Assange, moglie del fondatore di Wikileaks, non ha accolto bene la decisione dei giudici. Presente all’esterno dell’Alta Corte britannica, si dice  “sbalordita” dalla decisione della corte di ritardare l’appello del marito, detenuto da quasi cinque anni senza accusa, e ha aggiunto che la sentenza evidenzia che Assange “rimane esposto alla pena di morte”. Secondo Stella Assange “ciò che la corte ha fatto è stato chiedere un intervento politico da parte degli Stati Uniti. Lo trovo sorprendente”.

Le condizioni di salute di Assange

Il fondatore di WikiLeaks da diversi anni sarebbe affetto da gravi problemi di salute. Il suo avvocato Edward Fitzgerald nelle precedenti udienze aveva spiegato che Assange non sta bene nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra. Qui si trova dal 2019, senza aver subito alcun processo, in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti. Il giornalista, programmatore e attivista australiano, che ha 52 anni, è detenuto dall’aprile 2019 dopo aver vissuto sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Il 23 marzo 2022 ha sposato in carcere Stella Morris, avvocato originaria del Sudafrica, che gli ha dato due figli durante il periodo d’asilo nell’ambasciata ecuadoriana

Le denunce di Assange

Nel 2010 Assange denunciò attraverso WikiLeaks i crimini di guerra commessi in Iraq e Afghanistan dall’esercito americano grazie alla gola profonda Chelsea Manning, ex analista dell’intelligence Usa condannata a 35 anni di carcere ma poi graziata nel 2017 da Barack Obama. Quasi quattrodici anni dopo, Julian Assange è sempre più vicino all’estradizione negli Usa dove lo attende un processo dove lo attendono 18 capi di accusa per spionaggio e pirateria informatica: rischia oltre 170 anni di carcere.

I file diffusi da Assange e pubblicati dalle principali testate occidentali rivelavano rapporti diplomatici riservati ma documentavano anche le uccisioni di civili nelle guerre in Iraq e Afghanistan da parte delle truppe americane e britanniche. Fitzgerald ha sostenuto ieri che la sua consegna violerebbe il trattato di estradizione britannico-americano del 2003 poiché in ballo ci sono crimini di natura politica. Per gli Stati Uniti invece Assange con le sue rivelazioni ha messo in pericolo la vita di numerosi informatori. L’avvocato ha anche sostenuto che l’estradizione violerebbe il suo diritto a un giusto processo e alla libertà di espressione, poiché gli potrebbero essere concessi meno diritti di un cittadino statunitense visto che è cittadino australiano.

Assange, che è autistico e soffre di depressione e altri disturbi, è confinato nel Regno Unito da quasi 14 anni nonostante, ad oggi, non sia stato condannato per alcun crimine. Dopo essere stato arrestato nel 2010 su richiesta della Svezia per un caso ormai chiuso, trovò riparo come rifugiato politico nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra tra il 2012 e il 2019, dopodiché è stato arrestato su richiesta degli Stati Uniti e trasferito a Belmarsh.

Da Wikileaks al carcere, la storia di Assange

Nato nel 2006, il sito Wikileaks inizia la sua attività a partire dal 2007 garantendo alle sue fonti la massima protezione informatica possibile (grazie al software Tor) e il sito inizia a pubblicare informazioni riservate e documenti segreti che mettono in imbarazzo i governi di mezzo mondo. Nei dieci milioni di ‘leak’ diffusi dal sito, che collabora con dissidenti da ogni angolo del pianeta, verranno messe in luce la repressione cinese della rivolta tibetana, le purghe contro l’opposizione in Turchia, la corruzione nei Paesi arabi, le esecuzioni sommarie compiute dalla polizia keniota. Ma il colpo gobbo Assange e il suo staff lo fanno con gli Stati Uniti. Nel 2007 viene pubblicato il manuale per le guardie carcerarie di Guantanamo.

La vera svolta arriva però quando Wilileaks capisce che la semplice pubblicazione dei documenti non basta perché non tutti riescono a trovare il tempo per leggerli integralmente. Così decide di rivolgersi alla stampa, ai grandi giornali dell’Occidente e nel luglio 2010 ben 70mila documenti confidenziali sulle operazioni della coalizione internazionale in Afghanistan vedono la luce grazie al lavoro congiunto di Wikileaks e alcune delle più prestigiose testate mondiali: il New York Times, The Guardian, Der Spiegel, Le Monde ed El Pais. Un modello di collaborazione internazionale destinato a restare (un esempio su tutti, il caso dei ‘Panama Papers’). A ottobre 2010 è il turno di 400 mila carte riservate sull’invasione dell’Iraq, dalle quali emergono le violenze delle truppe americane nei confronti dei civili. Il mese dopo vengono pubblicati 250 mila cablogrammi diplomatici Usa dai quali emergono giudizi spesso poco lusinghieri sui partner di Washington. La gola profonda di Assange e di Wikileaks è un militare statunitense, Bradley Manning (Chelsea Manning, dopo l’operazione per cambiare sesso), che gira 700mila documenti classificati.

L’arresto di Assange con l’accusa di stupro e il rifugio in ambasciata

Divenuto un’icona internazionale della libertà d’espressione grazie al ‘cablegate’, il programmatore australiano finissce nel mirino di molti governi e negli Stati Uniti c’è chi ritiene collabori con i russi. Sospetto rafforzato nel 2013, quando consiglia a Edward Snowden di rifugiarsi a Mosca, consiglio che la talpa della National Security Agency seguirà. Il 18 novembre la magistratura svedese lancia un mandato di cattura europeo contro il fondatore di Wikileaks, denunciato per stupro da due donne svedesi per fatti avvenuti nell’agosto 2010. Assange, allora a Londra, replica di aver avuto rapporti consenzienti con le accusatrici e si consegna alla polizia britannica il 7 dicembre. L’attivista è detenuto per nove giorni e in seguito gli vengono concessi prima i domiciliari e poi la libertà vigilata. Nel febbraio 2011 la procedura per l’estradizione in Svezia viene sottoposta a un tribunale londinese. L’australiano teme che dalla Svezia possa essere estradato negli Stati Uniti e lì condannato a morte. Il 19 giugno 2012 Assange decide di rifugiarsi nell’ambasciata ecuadoriana.

Sette anni in ambasciata, poi la rottura con ‘nuovo’ Ecuador

Assange chiede asilo politico all’allora presidente dell’Ecuador Rafael Correa e, dopo il via libera, trascorre ben sette anni all’interno dell’ambasciata. Correa chiede inoltre, senza successo, alle autorità britanniche che conceda un salvacondotto al suo ospite perché possa trasferirsi a Quito. L’attività di Wikileaks intanto procede, seppur non con lo stesso ritmo di prima (anche per la rottura interna tra Assange e altri membri dello staff). Nel 2016 Wikileaks rivela come i dirigenti del Partito Democratico Usa avessero tramato contro il popolare candidato della sinistra, Bernie Sanders, perché Hillary Clinton vincesse le primarie.

Il 2 aprile 2019 il nuovo presidente dell’Ecuador, Lenin Moreno, accusa Assange di aver violato le condizioni per l’asilo politico. L’11 aprile la polizia britannica ottiene il permesso di entrare nell’ambasciata per portare via Assange, che il giorno dopo viene privato della cittadinanza ecuadoriana che Correa gli aveva intanto concesso. La difesa delle donne che lo avevano accusato di stupro ottiene una riapertura dell’indagine, che era stato intanto archiviata, ma nel settembre 2019 la magistratura svedese abbandona l’indagine per violenza sessuale per mancanza di prove.

In precedenza però, 1 maggio 2019, l’australiano viene condannato a 50 settimane di prigione da un tribunale di Londra per aver violato le condizioni della libertà vigilata rifugiandosi nell’ambasciata dell’Ecuador. Anche una volta scontata la condanna, Assange sarebbe rimasto in custodia nel penitenziario, in attesa del verdetto sull’estradizione. Poco dopo parte l’offensiva del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che il 23 maggio aggiunge 17 capi d’accusa a quello già spiccato per pirateria informatica, in virtù delle leggi antispionaggio. Accusato di aver messo in pericolo la vita di agenti e soldati Usa, Assange rischia 175 anni di prigione. Il 31 maggio interviene l’Onu, con il relatore speciale sulla tortura, Nils Melzer, che visita il fondatore di Wikileaks in carcere e afferma che le sue condizioni presentano “tutti i sintomi della tortura psicologica” e che la sua vita è in pericolo”.

Cinque anni dopo la battaglia legale e psicologica prosegue.

 

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