Navalny è stato ucciso con un pugno al cuore dopo essere stato indebolito da tre ore e mezza trascorse al gelo. A darne notizia è il Times citando il fondatore del gruppo dei Diritti Umani Vladimir Osechkin, il quale ha avuto la notizia da persone che lui conosce e che lavorano nel carcere “Lupo polare” dove Navalny era stato trasferito dal penitenziario di Mosca dove scontava una pena di 19 anni per estremismo, più altri per aver seguitato a trasmettere e far uscire articoli su Putin e il suo circolo degli oligarchi. I tempi mostrano chiaramente che la decisione di trasferire Navalny sopra il circolo polare Artico era una decisione che preludeva alla sua eliminazione fisica.

Fino alla scorsa settimana il leader dell’opposizione, avvalendosi dei suoi avvocati (tutti finiti in carcere o scomparsi), ha continuato a trasmettere attraverso la rete dei suoi sostenitori critiche e notizie sul Cremlino. Il pugno al cuore è stata l’ultima reazione che lo ha messo a tacere per sempre, ricorrendo a una tecnica letale usata dal KGB di cui il presidente russo è stato un tenente colonnello.

Secondo la fonte, il prigioniero è stato sottoposto a una dieta consistente in “due fette di pane di merda” e due bicchieri di acqua calda al giorno. La sua detenzione nel gulag “Lupo polare” è stata solo una preparazione all’eliminazione fisica già decisa. Così si spiegherebbe anche perché il suo corpo non sia stato ancora consegnato alla madre che ne chiede disperata la sepoltura di famiglia: il colpo al cuore potrebbe avere incrinato o fratturato la piastra sternale o qualche costola, rendendo quindi visibili gli effetti del colpo ricevuto ma su questo punto non ci sono ancora conferme.

La notizia ha provocato una forte reazione alla Casa Bianca, da dove il presidente Joe Biden aveva più volte avvertito pubblicamente nei suoi discorsi il presidente Putin del fatto che gli Stati Uniti consideravano la vita di Navalny un bene prezioso che non poteva essere distrutto perché faceva parte del patrimonio dell’umanità. Quando Biden è venuto a conoscenza della morte di Navalny ha immediatamente espresso la sua indignazione. Intanto un gruppo di legislatori e giuristi sta lavorando, si è appreso ieri, su un atto esecutivo speciale già preparato per classificare la Russia dell’invasione in Ucraina ma che non era mai stato perfezionato nella speranza che la guerra finisse presto.

Adesso con l’uccisione di Navalny è stato riesaminato un atto con valore di legge grazie al quale gli Stati Uniti possono confiscare legalmente 300 miliardi di dollari già congelati ma ancora giacenti depositati dalle banche russe negli Usa. La morte del più importante leader politico dell’opposizione russa, in circostanze gravissime e sospette, si aggiunge alla tensione sulla questione Ucraina dopo i recenti progressi russi sul terreno dovuti alla mancanza di munizioni per l’esercito ucraino. Tale mancanza è dovuta alla posizione dei repubblicani di Trump su nuovi fondi per sostenere il paese invaso dalle armate di Putin. Persino Donald Trump – seppure in modo contorto – ha preso le distanze dalle parole diffuse dal Cremlino in cui si dava della povera vedova impazzita a Yulia, moglie del dissidente morto in Siberia.

Nel frattempo, a Londra, la Corte Suprema del Regno Unito era ieri riunita per decidere se concedere o no agli Stati Uniti l’estradizione di Julien Assange che dovrebbe scontare più di 150 anni di prigione per aver divulgato segreti di Stato che hanno messo in pericolo la sicurezza americana attraverso il sistema WikiLeaks. Il fratello e la moglie di Assange, che non si è fatto vedere in Corte, hanno tentato di paragonare la sorte del loro congiunto a quella di Navalny dicendo ai giornalisti di temere che Julian – una volta estradato – finirebbe come il dissidente russo e cioè sarebbe ucciso. Queste dichiarazioni hanno provocato dissenso anche fra i sostenitori di Assange come campione della diffusione di segreti di Stato.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.